Le Messe sospese e l’obbedienza all’autorità
Caro Direttore,
vorrei tornare nuovamente sulla delicata questione della sospensione delle messe, sulla quale ho già scritto in queste ultime settimane diversi contributi. Dopo la presentazione domenica scorsa del nuovo DPCM da parte del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ha nuovamente confermato IL CRIMINOSO DIVIETO DI CELEBRARE LE SANTE MESSE CON IL POPOLO, permettendo solo i funerali CON UN MASSIMO DI 15 PERSONE (lo dico con amarezza, bisogna vedere se è contemplato anche la persona deceduta, il sacerdote e il becchino), la CEI finalmente, e anche tardivamente, ha emesso un comunicato molto duro, che recita testualmente: ““Sono allo studio del Governo nuove misure per consentire il più ampio esercizio della libertà di culto”: parole arrivate il 23 aprile scorso “dopo un’interlocuzione continua e disponibile tra la Segreteria Generale della Cei, il Ministero dell’interno e la stessa Presidenza del Consiglio. Un’interlocuzione, nella quale la Chiesa ha accettato, con sofferenza e senso di responsabilità, le limitazioni governative assunte per far fronte all’emergenza sanitaria”.
In questo dialogo – precisa la nota – la Cei aveva sottolineato più volte “in maniera esplicita che – nel momento in cui vengano ridotte le limitazioni assunte per far fronte alla pandemia – la Chiesa esige di poter riprendere la sua azione pastorale”. Dopo “settimane di negoziato – prosegue la nota – che hanno visto la Cei presentare Orientamenti e Protocolli con cui affrontare una fase transitoria nel pieno rispetto di tutte le norme sanitarie, il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri varato questa sera esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare la Messa con il popolo. Alla Presidenza del Consiglio e al Comitato tecnico-scientifico si richiama il dovere di distinguere tra la loro responsabilità – dare indicazioni precise di carattere sanitario – e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia”. I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale”.
Purtroppo, queste parole, che comunque celano molti aspetti irrisolti e incomprensibili (ad esempio perché non si è adottata una nota simile prima della Santa Pasqua? Perché si è obbedito al Governo in modo cieco senza provare a far valere il Concordato e gli articoli della nostra Costituzione? Perché i Vescovi non hanno speso una sola parola per difendere i sacerdoti e i fedeli multati, in quanto colpevoli di aver preso parte alla Santa Messa clandestina catacombale, pur evitando di fare assembramenti e rispettando il distanziamento sociale? Perché non si sono indignati per il fatto che era permesso andare al supermercato, alle poste, ai tabacchini e in farmacia e non a pregare Nostro Signore, l’Unico che ci può liberare da questa epidemia?), sono state immediatamente cancellate dall’intervento di Papa Bergoglio, il quale ha affermato durante la sua consueta messa mattutina a Santa Marta: ”In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni”.
Dopo queste parole, che vanno a smentire le stesse affermazioni pronunciate da Bergoglio alcuni giorni fa, secondo il consueto schema della comunicazione schizofrenica, alla quale purtroppo ci ha tragicamente abituati:” Questa familiarità con il Signore, dei cristiani, è sempre comunitaria. Sì, è intima, è personale ma in comunità. Una familiarità senza comunità, una familiarità senza il Pane, una familiarità senza la Chiesa, senza il popolo, senza i sacramenti è pericolosa.
Può diventare una familiarità – diciamo – gnostica, una familiarità per me soltanto, staccata dal popolo di Dio. La familiarità degli apostoli con il Signore sempre era comunitaria, sempre era a tavola, segno della comunità. Sempre era con il Sacramento, con il Pane. Dico questo perché qualcuno mi ha fatto riflettere sul pericolo che questo momento che stiamo vivendo, questa pandemia che ha fatto che tutti ci comunicassimo anche religiosamente attraverso i media, attraverso i mezzi di comunicazione, anche questa Messa, siamo tutti comunicanti, ma non insieme, spiritualmente insieme. Il popolo è piccolo. C’è un grande popolo: stiamo insieme, ma non insieme. Anche il Sacramento: oggi ce l’avete, l’Eucaristia, ma la gente che è collegata con noi, soltanto la comunione spirituale. E questa non è la Chiesa: questa è la Chiesa di una situazione difficile, che il Signore permette, ma l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti. Sempre.
Prima della Pasqua, quando è uscita la notizia che io avrei celebrato la Pasqua in San Pietro vuota, mi scrisse un vescovo – un bravo vescovo: bravo – e mi ha rimproverato. “Ma come mai, è così grande San Pietro, perché non mette 30 persone almeno, perché si veda gente? Non ci sarà pericolo …”. Io pensai: “Ma, questo che ha nella testa, per dirmi questo?”. Io non capii, nel momento. Ma siccome è un bravo vescovo, molto vicino al popolo, qualcosa vorrà dirmi. Quando lo troverò, gli domanderò. Poi ho capito. Lui mi diceva: “Stia attento a non viralizzare la Chiesa, a non viralizzare i sacramenti, a non viralizzare il popolo di Dio. La Chiesa, i sacramenti, il popolo di Dio sono concreti. È vero che in questo momento dobbiamo fare questa familiarità con il Signore in questo modo, ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci. E questa è la familiarità degli apostoli: non gnostica, non viralizzata, non egoistica per ognuno di loro, ma una familiarità concreta, nel popolo. La familiarità con il Signore nella vita quotidiana, la familiarità con il Signore nei sacramenti, in mezzo al popolo di Dio. Loro hanno fatto un cammino di maturità nella familiarità con il Signore: impariamo noi a farlo, pure. Dal primo momento, questi hanno capito che quella familiarità era diversa da quello che immaginavano, e sono arrivati a questo. Sapevano che era il Signore, condividevano tutto: la comunità, i sacramenti, il Signore, la pace, la festa”.
Al di la’ della sua incoerenza, che fa parte di un linguaggio comunicativo che mira a dire e a contraddire per confondere secondo uno stile molto noto, una domanda sorge spontanea: è giusto che la Chiesa sia completamente sottomessa ai Governi statali di stampo massonico, ateo, comunista? A questo legittimo interrogativo, rispondono Pietro e Giovanni nella loro eroica testimonianza di fedeltà al Signore tratto dal libro degli Atti degli Apostoli: “ Il giorno seguente, i loro capi, con gli anziani e gli scribi, si riunirono a Gerusalemme, con Anna, il sommo sacerdote, Caiafa, Giovanni, Alessandro e tutti quelli che appartenevano alla famiglia dei sommi sacerdoti. E, fatti condurre in mezzo a loro Pietro e Giovanni, domandarono: «Con quale potere o in nome di chi avete fatto questo?» Allora Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, se oggi siamo esaminati a proposito di un beneficio fatto a un uomo infermo, per sapere com’è che quest’uomo è stato guarito, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele che questo è stato fatto nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, che voi avete crocifisso, e che Dio ha risuscitato dai morti; è per la sua virtù che quest’uomo compare guarito, in presenza vostra. Egli è “la pietra che è stata da voi costruttori rifiutata, ed è divenuta la pietra angolare“. In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati». Essi, vista la franchezza di Pietro e di Giovanni, si meravigliavano, avendo capito che erano popolani senza istruzione; riconoscevano che erano stati con Gesù e, vedendo l’uomo che era stato guarito, lì presente con loro, non potevano dir niente in contrario. Ma, dopo aver ordinato loro di uscire dal sinedrio, si consultarono gli uni gli altri dicendo: «Che faremo a questi uomini? Che un evidente miracolo sia stato fatto per mezzo di loro, è noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme, e noi non possiamo negarlo. Ma, affinché ciò non si diffonda maggiormente tra il popolo, ordiniamo loro con minacce di non parlare più a nessuno nel nome di costui». E, avendoli chiamati, imposero loro di non parlare né insegnare affatto nel nome di Gesù. Ma Pietro e Giovanni risposero loro: «Giudicate voi se è giusto, davanti a Dio, ubbidire a voi anziché a Dio. Quanto a noi, non possiamo non parlare delle cose che abbiamo viste e udite». Ed essi, minacciatili di nuovo, li lasciarono andare, non trovando assolutamente come poterli punire, a causa del popolo; perché tutti glorificavano Dio per quello che era accaduto”.
Quanto vorremmo vedere questo coraggio eroico nella Fede da parte dei nostri Pastori, i quali hanno purtroppo perduto il fuoco dello Spirito Santo, che invece era ben presente nel grande Pio XII, il quale l’8 febbraio 1949, quando il regime comunista ungherese condannava all’ergastolo il Cardinale Jozsef Mindszenty, affermo’ con vigore:” La condanna inflitta, fra la unanime riprovazione del mondo civile, sulle rive del Danubio, ad un eminente Cardinale di Santa Romana Chiesa, ha suscitato sulle rive del Tevere un grido d’indignazione degno dell’Urbe. Ma il fatto che un regime avverso alla religione ha colpito questa volta un Principe della Chiesa, venerato dalla stragrande maggioranza del suo popolo, non è un caso isolato; esso è uno degli anelli della lunga catena di persecuzioni che alcuni Stati dittatoriali muovono contro la dottrina e la vita cristiana.Una nota caratteristica comune ai persecutori di tutti i tempi è che, non contenti di abbattere fisicamente le loro vittime, vogliono anche renderle spregevoli e odiose alla patria ed alla società.Chi non ricorda i Protomartiri romani, di cui parla Tacito (Annal. 15, 44), immolati sotto Nerone e rappresentati come incendiari, abominevoli malfattori, nemici del genere umano? I moderni persecutori si mostrano docili discepoli di quella scuola ingloriosa.
Essi copiano, per così dire, i loro maestri e modelli, se pure non li sorpassano in crudezza, abili come sono nell’arte di adoperare i progressi più recenti della scienza e della tecnica allo scopo di una dominazione e di un asservimento del popolo, quale non sarebbe stato concepibile nei tempi passati. Romani! La Chiesa di Cristo segue il cammino tracciatole dal divin Redentore. Essa si sente eterna; sa che non potrà perire, che le più violente tempeste non varranno a sommergerla. Essa non mendica favori; le minacce e la disgrazia delle potestà terrene non la intimoriscono. Essa non s’immischia in questioni meramente politiche od economiche, né si cura di disputare sulla utilità o il danno dell’una o dell’altra forma di governo. Sempre bramosa, per quanto da lei dipende, di aver pace con tutti (cfr. Rom. 12, 18), essa dà a Cesare ciò che gli compete secondo il diritto, ma non può tradire nè abbandonare ciò che è di Dio.
Ora è ben noto quel che lo Stato totalitario e antireligioso esige ed attende da lei come prezzo della sua tolleranza o del suo problematico riconoscimento. Esso, cioè, vorrebbe una Chiesa che tace, quando dovrebbe parlare; una Chiesa che indebolisce la legge di Dio, adattandola al gusto dei voleri umani, quando dovrebbe altamente proclamarla e difenderla; una Chiesa che si distacca dal fondamento inconcusso sul quale Cristo l’ha edificata, per adagiarsi comodamente sulla mobile sabbia delle opinioni del giorno o per abbandonarsi alla corrente che passa; una Chiesa che non resiste alla oppressione delle coscienze e non tutela i legittimi diritti e le giuste libertà del popolo; una Chiesa che con indecorosa servilità rimane chiusa fra le quattro mura del tempio, dimentica del divino mandato ricevuto da Cristo: Andate sui crocicchi delle strade (Matth. 22, 9); istruite tutte le genti (Matth. 28, 19). Diletti figli e figlie! Eredi spirituali di una innumerevole legione di confessori e di martiri! È questa la Chiesa che voi venerate ed amate? Riconoscereste voi in una tale Chiesa i lineamenti del volto della vostra Madre? Potete voi immaginarvi un Successore del primo Pietro, che si pieghi a simili esigenze? Il Papa ha le promesse divine; pur nella sua umana debolezza, è invincibile e incrollabile; annunziatore della verità e della giustizia, principio della unità della Chiesa, la sua voce denunzia gli errori, le idolatrie, le superstizioni, condanna le iniquità, fa amare la carità e le virtù. Può dunque egli tacere, quando in una Nazione si strappano con la violenza o con l’astuzia dal centro della Cristianità, da Roma, le chiese che le sono unite, quando s’imprigionano tutti i vescovi greco-cattolici, perché negano di apostatare dalla loro fede, si perseguitano e si arrestano sacerdoti e fedeli, perché rifiutano di separarsi dallo loro vera Madre Chiesa? [Dalla piazza la folla risponde: No!] Può il Papa tacere, quando il diritto di educare i propri figli è tolto ai genitori da un regime di minoranza, che vuole allontanarli da Cristo? [Dalla piazza la folla risponde: No!] Può il Papa tacere, quando uno Stato, oltrepassando i limiti della sua competenza, si arroga il potere di sopprimere le diocesi, di deporre i Vescovi, di sconvolgere l’organizzazione ecclesiastica e di ridurla al di sotto delle esigenze minime per una efficace cura delle anime? [Dalla piazza la folla risponde: No!] Può il Papa tacere, quando si giunge al punto di punire col carcere un sacerdote reo di non aver voluto violare il più sacro ed inviolabile dei segreti, il segreto della confessione sacramentale? [Dalla piazza la folla risponde: No!] È forse tutto ciò illegittima ingerenza nei poteri politici dello Stato? Chi potrebbe affermarlo onestamente? Le vostre esclamazioni hanno già dato la risposta a queste e a molte altre simili domande. Il Signore Iddio, diletti figli e figlie, ricompensi la vostra fedeltà. Vi dia forza nelle lotte presenti e future. Vi renda vigili contro i colpi dei nemici suoi e vostri. Rischiari con la sua luce le menti di coloro, i cui occhi sono ancora chiusi alla verità. Conceda a tanti cuori, oggi ancora lontani da lui, la grazia del ritorno sincero a quella fede e a quei sentimenti fraterni, la cui negazione minaccia la pace della umanità. Ed ora scenda larga, paterna, affettuosa su voi tutti, sull’Urbe e sull’Orbe la Nostra Benedizione Apostolica”.
Con stima.
Gianluca Martone