Medici di base e farmacisti senza mascherine: il dott. Ceniccola scrive al Presidente Conte

Egregio Presidente Conte,sono un medico di medicina generale, sposato con moglie e tre figli a carico, laureato nel minor tempo possibile e con il massimo dei voti, due specializzazioni (Ginecologia ed Endocrinochirurgia) conseguite con il massimo dei voti e lode (ho dovuto rinunciare alla carriera ospedaliera e/o universitaria per non aver voluto bussare alla porta del padrone di turno) e scrivo a caldo dopo aver appreso dalla stampa che la Ragioneria dello Stato ha espresso parere negativo sull’emendamento 5.1 al decreto Cura Italia depositato in Commissione Bilancio del Senato che mirava ad estendere  la fornitura dei dispositivi di protezione individuale per fronteggiare l’emergenza  coronavirus anche  ai medici di medicina generale, ai pediatri di libera scelta e ai farmacisti per la mancata presentazione di una “relazione tecnica”. In poche parole, potremmo dire: mascherine e dispositivi di sicurezza per tutti ma non per coloro che ogni giorno sono in… prima linea.
Sono troppo angosciato al pensiero dei 14.000 cittadini morti e fra questi le decine (ormai, siamo arrivati a 80 ) di medici italiani morti infettati dal coronavirus durante l’adempimento  del loro dovere per alzare la voce in difesa dei cosiddetti “eroi”. Pertanto, La prego, sommessamente, di risolvere ad oras la succitata questione e di considerare questa mia un semplice  sfogo personale che riflette lo stato d’animo della stragrande maggioranza dei medici di medicina generale costretti a vivere una vita di “precario” senza alcuna garanzia, obbligati ad assolvere tutta una serie di doveri, etici e non, pena la ricusazione del paziente e costretti ad esercitare una sorta di “medicina difensiva” con grave danno per il sistema Sanitario e per il bilancio dello Stato. In altre parole, un precario (senza nemmeno il diritto di ammalarsi né di andare in vacanza) e costretto ogni giorno a subire il ricatto della “revoca senza giustificazione” da parte del paziente. Un precario che pur essendo considerato sulla carta un lavoratore autonomo, nella pratica invece è un dipendente a cui è negato ogni beneficio derivante dalla “dipendenza”. E’ inutile ricordarle che circa il 40% della retribuzione del medico di famiglia se ne va nelle molte spese necessarie allo svolgimento dell’attività medica: l’affitto o il mutuo dello studio, l’aggiornamento tecnologico e scientifico, i servizi assicurativi e le spese di gestione dello studio. Per non parlare delle penalizzazioni in materia pensionistica e degli impropri oneri della subordinazione senza alcun corrispondente beneficio. Un precario che, ancora una volta, è considerato dallo Stato un medico di serie B a cui viene  negato il minimo indispensabile per poter svolgere in sicurezza il proprio lavoro.
E, in conclusione, una domanda: quanto vale per lo Stato la vita di un medico e/o di un farmacista?
In attesa di una cortese risposta, l’occasione è buona per formulare i più cordiali saluti e auguri di Buona Pasqua.
Dott. Amedeo Ceniccola     

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