Dio ci salvi dai sudditi della Regina. Considerazioni sulla pandemia di un italiano nel Regno Unito
Primo Ministro positivo, così come il Ministro della salute, il Consigliere Medico Capo ed anche il Principe.
Regina lontana dalla sua residenza londinese, Parlamento sospeso fino a Pasqua, capitale e resto del paese in un lockdown – meno ferreo di quello italiano, ma comunque incisivo.
Il Regno Unito si ritrova, nel giro di qualche settimana, piuttosto lontano dallo scenario inizialmente prospettato dal populista conservatore biondino attualmente in auto-isolamento al numero 10 di Downing street.
Biondino al quale vanno tutti gli inglesissimi improperi del direttore della rivista scientifica The Lancet – orgoglio britannico di fama mondiale – che definisce, senza mezzi termini, “uno scandalo nazionale” la risposta al Covid-19 approntata dal suo governo.
L’autorevole medico, facendosi portavoce di una frustrazione e una rabbia senza precedenti, è convinto che l’intero mese di febbraio sia andato sprecato con una strategia inconcludente figlia delle opache ragioni addotte da ministri e consulenti del governo di Sua Maestà, la Regina Elisabetta II.
Sembra che i medici del servizio sanitario nazionale (NHS) parlino apertamente di atteggiamento criminale che si risolverà in una carneficina e in una crisi umanitaria degna di una guerra.
Con tremila nuovi casi in un solo giorno e decessi ormai ben oltre le timide cifre a due zeri, il picco atteso nella prossima settimana, ai tanti italiani del Regno Unito già scossi dalle notizie e dalle immagini provenienti dal paese d’origine non resta che confidare nelle capacità di tenuta del sistema inglese.
Capacità che in tanti campi, chiunque viva qui da un po’ di tempo, sa quanto possano essere raccontate, vantate, millantate invece che concrete.
Nello specifico, le critiche espresse dal direttore di The Lancet, infatti, prendono corpo proprio dalle lamentele e dalle critiche che in forma anonima sono giunte dai medici del Regno, a partire da quelli di base (poco più che infermieri specializzati se paragonati ai medici di base italiani), fino ai vertici della professione.
La categoria che dovrà poi, insomma, confrontarsi con la decisione – si lavora ai criteri per renderla meno aleatoria, angosciosa e moralmente terrificante – di quali tipologie di pazienti escludere dalle cure intensive e quali invece ammettere.
Inevitabile allora, da italiano residente nella fredda Albione, riconsiderare sotto una nuova luce tanto il sistema sanitario italiano – o almeno quello campano, l’unico noto per esperienza diretta a chi scrive – quanto la classe politica.
Bistrattato il primo, risibile la seconda – che non si aiuta certo continuando a coltivare perversioni come la recita dell’eterno riposo in diretta televisiva – non sono però così estemporanei come potrebbe apparire da una prospettiva esclusivamente “interna”.
Primo paese occidentale a confrontarsi con l’imponderabile nemico invisibile che tiene in scacco ormai l’intero pianeta, l’Italia ha risposto, pur tra inevitabili passi falsi e isolate fughe in avanti, con una prontezza sconosciuta ad altri paesi “europei” e occidentali ai quali pure è toccato in sorte il vantaggio di non essere avanguardia nel triste campo della prima pandemia del millennio.
Attendisti, tergiversatori, immobilisti, imbelli, cinici all’esasperazione, i cugini inglesi – e gli altri cugini ancora targati UE –, invece, hanno dato ennesima prova di quanto siano le competenze nel campo della comunicazione più che in altri campi a sorreggerne l’immagine internazionale.
Probabilmente, tra le cose che in Italia andranno ripensate una volta passata la nottata, sarà proprio la capacità di lavarsi i panni sporchi in famiglia e tutelare in maniera più intelligente l’immagine di sé che il paese proietta all’estero.
Per quanto riguarda noi italiani nel Regno Unito, Dio ci salvi… dai sudditi della Regina.
Massimo Iazzetti