Il deputato Maglione (M5S) denuncia illegalità poste in essere alla Provincia dal Presidente Di Maria
Casi riconducibili, a nostro avviso, a politiche clientelari vengono, invece, configurati come incarichi di “alta dirigenza pubblica”, da parte del presidente della Provincia, Antonio Di Maria, nel rispondere al deputato Pasquale Maglione.
In margine alla nomina dell’avv. Nicola Boccalone, quale direttore generale della Provincia e alla corresponsione al capo staff dell’Ente, Renato Parente, di una indennità, non dovuta secondo la legge Severino, poiché lo stesso percepisce già una indennità in quanto consigliere comunale di Benevento, sette mesi fa l’esponente pentastellato sollevò un caso di sperpero di risorse da parte dell’Ente medesimo, le cui finanze, a dire di Mastella, circostanza che ricorda molto bene chi scrive, erano state dissanguate dalla precedente amministrazione di centro sinistra.
Per quanto riguarda il caso di Renato Parente, Maglione ha posto in evidenza, nei giorni scorsi, quanto fosse fondata, allora, la sua denuncia relativa alla irregolarità della doppia retribuzione corrisposta al dipendente dell’Inail, distaccato, pare, presso la segreteria del sindaco Mastella, prima, e alla guida dello staff di Di Maria, poi, considerato che Parente si è dimesso dall’incarico rivestito alla Provincia e che il presidente Di Maria si sta attivando nell’individuare un legale per tutelarsi nel caso dovesse configurarsi un danno erariale per effetto della indennità corrisposta a Parente.
La legge parla chiaro, dice Pasquale Maglione: “chi ricopre cariche elettive è autorizzato a ricoprire incarichi nelle pubbliche amministrazioni ma non può ricevere indennità, se non rimborsi per le presenze, proprio per assicurare il principio della riduzione della spesa pubblica”. Di fronte a questo dato di fatto, non si sa quanta fondatezza possa avere la risposta ai rilievi di Maglione da parte di Parente. L’ex collega di chi scrive, infatti, afferma: “Voglio rassicurare l’onorevole Maglione che tutti gli atti che mi riguardano rispondono alle norme e allo stato di diritto che, evidentemente e nonostante i suoi infondati dubbi, è a cuore del Presidente Di Maria come al sottoscritto”. Convinto che “sono ben altri gli sprechi di risorse e di ben altra entità”, ad avviso di Parente, infatti, “non è mai uno spreco di risorse per un Ente pubblico approfondire e valutare in ogni momento la qualità della propria azione: d’altra parte lo prevedono e lo disciplinano le leggi che anche Maglione conoscerà”.
Parente però stona quando si pone il problema di come mai Maglione, “in questo momento tanto straordinario (dominato evidentemente dal coronavirus – ndr), abbia tempo da dedicare alle note stampa che come quella rivolta al sottoscritto, testimoniano in modo esaustivo e questa volta senza appello, il valore dell’azione politica messa in campo dal deputato”.
Insomma, Maglione non avrebbe dovuto denunciare il caso di una indennità non dovuta per legge. Ma anche se fosse stata consentita dalla legge, ad avviso di chi scrive, sarebbe stato immorale, oltre che politicamente sbagliato, distrarre risorse pubbliche, in un momento in cui gli enti locali lamentano ristrettezze finanziarie.
Ma è intervenuto, in una nota più articolata, anche il presidente della Provincia, sui casi sollevati da Maglione. Di Maria bacchetta così Maglione: “Non sembra dubbio che sia stata superata l’asticella della mera critica politica, così come non pare dubbio che la conoscenza dei particolari legati alle vicende richiamate rappresentino gli elementi che contraddistinguono l’agire con sapere dall’agire per sentito dire”. Stante questa considerazione, Maglione, che secondo Di Maria dovrebbe volare alto, avrebbe agito in base ad un “sentito dire” e non in base al dettato di una legge, per quanto riguarda l’indennità corrisposta a Parente.
Infatti, in ordine al caso che riguarda Parente, Di Maria puntualizza a modo suo: “Cosi, avere conoscenza della circostanza che l’ipotesi del Consigliere comunale di un Ente che viene insignito del ruolo di capo staff ex art. 90 del D.Lgsvo 267/2000 non trovi traccia come riferimento normativo, ma unicamente nella dinamica giurisprudenziale della Corte dei Conti, peraltro non in modo univoco, sia un elemento di non poco conto sulle valutazioni più volte espresse”.
Ma Di Maria, a proposito della nomina, illegittima secondo Maglione, di Nicola Boccalone, quale direttore generale della Provincia, una funzione, questa, ricoperta, evidentemente in ragione del contenimento delle spese, anche sotto la Presidenza Di Maria ma con due incarichi a tempo determinato, dal segretario generale dell’Ente, Franco Nardone, collocato ora in ferie forzate da chi ha la guida politica dell’Ente medesimo, non tanto perché ha contestato la nomina di Boccalone, quanto per il fatto di essere venuto in rotta con la predetta guida politica, che lo aveva seguito, fino al giudizio della Cassazione, in merito alla revoca, da lui posta in essere, del mastelliano Alfredo Cataudo da presidente dell’ASEA, un’agenzia partecipata della Provincia.
Probabilmente, con la nomina di Boccalone si è voluto dare una visibilità politica, sempre richiesta dal meloniano Federico Paolucci, a Fratelli d’Italia, nella cui compagine batterebbe il cuore di Boccalone, come continuità della sua formazione culturale. Ma c’è chi dice che discenderebbe dalla necessità di creare un contro altare a Nardone la nomina di Nicola Boccalone, il quale, alla faccia delle finanze dissanguate dell’Ente, percepirebbe una indennità che si aggirerebbe intorno ai centomila euro all’anno, cioè i quattro quinti, pressappoco, di quella che, in lire, percepiva dal Comune di Benevento, quando venne nominato city manager di tale Ente da Sandro D’Alessandro, il sindaco aennino appena eletto nel 2001.
Con l’avvento dell’amministrazione di centro sinistra, nel 2006, Boccalone è però costretto a lasciare l’incarico e la lauta indennità di circa un milione di lire al giorno. Dopo cinque anni di “disoccupazione”, in cui si è dovuto occupare soltanto della sua attività di avvocato, nell’ottobre del 2011 Boccalone viene però nominato direttore generale dell’ospedale “Rummo” di Benevento da Stefano Caldoro, che un anno e mezzo prima, a capo di una coalizione di centro destra, aveva espugnato la guida della Regione Campania, precedentemente governata, per dieci anni, da Antonio Bassolino. E, poiché al successo della coalizione di centro destra avevano concorso anche gli ex aennini di Benevento, Caldoro ha dovuto pagare un “dazio” in favore di costoro.
La nomina venne contestata da Gennaro Pezone, il direttore della Comunità Montana del Taburno che aveva concorso al posto di direttore generale del “Rummo”. Pezone, infatti, fece ricorso al Presidente della Repubblica, prima, e alla giustizia amministrativa, poi. Secondo Pezone, il curriculum di City manager del Comune di Benevento, presentato da Boccalone, andava individuato come rapporto di lavoro privato, perché Boccalone all’epoca veniva retribuito dal Comune tramite fattura e partita Iva, svolgendo la sua attività di avvocato e senza che vi fossero le caratteristiche e i limiti ordinari del lavoro dipendente. Il 25 ottobre 2012, però, quando il Consiglio di Stato dice che Boccalone non poteva essere nominato direttore generale del “Rummo”, Caldoro non esegue la sentenza.
Ma la nomina di Boccalone non viene riconfermata alla sua scadenza, poiché alla guida della Regione è arrivato, nel 2015, Vincenzo De Luca, eletto da una coalizione di centro sinistra. Tuttavia, Boccalone non rimane “disoccupato”: si apre subito la possibilità di essere nominato direttore generale di Irpinia Ambiente, l’equivalente della Samte (Sannio Ambiente e Territorio) di Benevento. Nomina che avviene l’8 gennaio 2016. Così, quando era prossima la scadenza di quest’altro incarico, è arrivata per Boccalone, il 29 luglio 2019, la nomina a direttore generale della Provincia.
Certo, con l’esperienza accumulata da Boccalone in 19 anni di attività manageriale, compresi i 5 anni di “disoccupazione”, Di Maria, per coprire, come dicevamo, è un’operazione di politica clientelare, si è sentito legittimato nel dire che a costui è stato “affidato un incarico di alta dirigenza pubblica”. Ma la nomina viene contestata da Maglione, in quanto la Provincia, sotto la presidenza di Di Maria, ha affidato un incarico legale nel dicembre 2018 a Boccalone, cioè meno di 2 anni prima della nomina di Boccalone medesimo a direttore generale dell’Ente, in contrasto, quindi, con quanto stabilisce l’art. 4 del Decreto legislativa 39/13. Una circostanza, questa, che viene minimizzata da Di Maria nella sua nota, nella quale, facendosi forte di quanto, secondo lui, “ha più volte chiarito la stessa Anac (Autorità Nazionale AntiCorruzione – ndr)”, dice che “affidare un incarico occasionale di consulenza per una particolare materia e per un tempo limitato non significa violare il dettato normativo”.
Alla fine, però, Di Maria, dopo aver fatto rilevare a Maglione che l’assunzione di “posizioni di parte” non rende “onore a chi è deputato alla critica politica”, assume dei toni concilianti, allorché invita Maglione “alla Rocca dei Rettori per offrire tutti i particolari di queste vicende che ha più a cuore, magari accompagnato dai suoi Consulenti ai quali potremmo dare un volto ai nomi”. E aggiunge: “L’occasione potrebbe essere oltremodo utile per discutere del ciclo integrato dei rifiuti, del disastro Samte, dell’impianto di compostaggio di Sassinoro e così via, estendendo il campo a tutte le vicende relative agli altri servizi pubblici che si sono consumati negli ultimi anni e non sempre con esiti fausti. (…) Il confronto, franco e leale, rappresenta sempre un motivo di arricchimento per tutti, anche per quelli che credono di non averne bisogno”. Se questa non è un modo come ammorbidire la portata delle illegalità, dicano i lettori cos’è!
Giuseppe Di Gioia