La striscia di Gaza 

Circa duemilatrecento anni fa, nella regione che corrisponde all’odierna Cina settentrionale, un gruppo di generali mise per la prima volta in forma scritta la sua saggezza collettiva.

Sun Tzu, il patriarca di quella stirpe di militari, così parlò: “Ci sono strade da non seguire. Ci sono eserciti da non colpire. Ci sono città da non assediare. Ci sono terreni su cui non combattere …”

Nel XIX secolo, sulla spinta dei nazionalismi europei e in risposta all’acuirsi dell’antisemitismo, nacque l’ideologia del Sionismo, un movimento politico che rivendicava il diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico, ipotizzando la Palestina e l’Argentina come possibili destinazioni per l’insediamento dei coloni. Fu la connessione culturale e religiosa con Gerusalemme che spinse il movimento sionista a optare infine per la Palestina. Il fenomeno dellamigrazione degli ebrei europei verso questo territorio divenne più consistente con la fine della Prima guerra mondiale, dopo che gli inglesi riuscirono a sottrarlo all’Impero ottomano.

Alla Conferenza di Sanremo del 1920 il territorio della Palestina, assieme a quelli degli attuali Iraq e Giordaniafu affidato alla gran Bretagna, mentre i territori corrispondenti all’attuale Siria e Libano passarono sotto il controllo della Francia. La presenza di Londra e Parigi in questa regione fu poi istituzionalizzata dalla Società delle Nazioni – nucleo di quelle che poi saranno le Nazioni Unite – con la creazione dei Mandati. Si trattava di un sistema con cui le potenze coloniali si impegnavano ad amministrare questi territori e ad accompagnarli nel percorso verso l’indipendenza. Ma il conferimento del Mandato di Palestina alla Gran Bretagna, potenza che aveva dichiarato pubblicamente di voler facilitare l’immigrazione degli ebrei europei in quel territorio, fumal accolta dalla popolazione locale. Gli anni del Mandato furono caratterizzati da episodi di violenza contro gli inglesi e la comunità ebraica, rinvigorita anno dopo anno dall’arrivo di nuovi migranti. Questi finirono per cambiare l’assetto demografico della Palestina. Nel 1922 gli ebrei rappresentavano l’11% della popolazione, il loro numero raggiunse il 32% nel 1947. 

Dopo il secondo conflitto mondiale Londra, spinta dalle necessità economiche della ricostruzione post-bellica e dalla complessità della situazione sul campo, decise di rimettere il mandato alle Nazioni Unite e di lasciare a loro la decisione sul futuro della regione. Nel novembre 1947, l’Assemblea generale dell’Onu approvò la risoluzione numero 181 che prevedeva la spartizione della Palestina in due stati, uno ebraico e uno arabo e affidava Gerusalemme a una giurisdizione internazionale. Questa decisione fu accolta positivamente dalla comunità ebraica ma rigettata da quella araba, che dopo essersi opposta per anni all’immigrazione di massa di ebrei europei, rifiutava la possibilità che questi ottenessero uno stato indipendente. A quel punto le relazioni tra ebrei e arabi degenerarono in un vero e proprio conflitto armato. Fu nel maggio 1948, a seguito delladichiarazione di indipendenza dello stato di Israele che gli eserciti di Egitto, Transgiordania, Siria, Libano e Iraq decisero di attaccare, dando il via alla prima guerra arabo-israeliana.

Al termine del conflitto, che si risolse nel 1949 con la sconfitta degli eserciti arabi, i confini del neonato stato di Israele comprendevano circa il 78% del territorio della Palestina. Rimanevano fuori dal suo controllo la Cisgiordania e la cosiddetta Striscia di Gaza, occupate rispettivamente dalla Giordania e dall’Egitto. La linea dell’armistizio del 1949 finì per dividere la città di Gerusalemme in una parte ovest, controllata da Israele, e una parte est, controllata inizialmente dalla Giordania. Durante il conflitto, definito “La catastrofe”, circa 700mila palestinesi furono costretti a lasciare le proprie case, in parte per paura della guerra e in parte perché minacciati dall’esercito israeliano. Quest’esodo forzato è all’origine della questione dei rifugiati palestinesi, uno dei principali punti irrisolti del conflitto.   

Nei tre decenni successivi alla sua fondazione, il rapporto tra Israele e gli stati arabi rimase profondamente conflittuale e a quella del 1948-49 seguirono altre guerre. La più importante di queste è sicuramente quella del 1967, ribattezzata “Guerra dei sei giorni”, appunto perché nell’arco di meno di una settimana l’esercito israeliano riuscì a sconfiggere quelli dell’Egitto, Giordania e Siria. Questa sorprendente vittoria permise a Israele di occupare nuovi territori, tra cui la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, inclusa quella parte di Gerusalemme che era stata controllata fino ad allora dai Giordani. 

È appunto la sconfitta degli eserciti arabi nel 1967 a spingere i palestinesi verso un maggiore attivismo politico. Sul finire degli anni ’60 la maggior parte di questi gruppi confluì nell’ Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP). L’OLP divenne così il principale megafono delle istanze palestinesi nel mondo. Nel 1973 Israele e vicini arabi si affrontarono di nuovo nella guerra dello Yom Kippur, ricordata semplicemente come guerra israelo-araba del ’73. Principali protagonisti dello scontro furono l’Egitto, poiché Israele aveva occupato la penisola del Sinai, e la Siria. L’esito fu piuttosto interlocutorio, ma portò alla restituzione del Sinai al Cairo e un ulteriore espansione del controllo israeliano sulle alture del Golan, già occupate nel 1967.

Esasperati dal mancato riconoscimento delle proprie aspirazioni nazionali nel 1987 i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania cominciarono una serie di proteste contro l’occupazione israeliana.

Questi atti assunsero presto le dimensioni di une vera e propria sollevazione popolare – la Prima Intifada – che si protrasse fino al 1993 e portò alla morte di più di 1.900 palestinesi e di 200 israeliani. È in questi anni di proteste e di duri scontri che nacque Hamas, un’organizzazione di stampo islamista caratterizzata fin da subito dalla sua intransigenza nei confronti di Israele.  

È negli anni dell’intifada che le posizioni delle leadership palestinese e israeliana si avvicinano per la prima volta. Tra il 1993 e il 1995 vennero siglati gli Accordi di Oslo che, sulla base della soluzione a due stati, avrebbero dovuto rappresentare il primo passo verso la costruzione di uno stato palestinese indipendente. Si deve a questi accordi la divisione dei Territori palestinesi in tre aree e la creazione di un’amministrazione autonoma, l’Autorità nazionale palestinese (ANP) che sull’area A e B esercitava un certo grado di sovranità. L’ascesa per la prima volta al governo in Israele di Netanyahu nel 1996, assieme ad altri fattori, finì però per bloccare i negoziati e assestare un duro colpo al processo di pace. 

Lo stallo nei negoziati contribuì a infiammare nuovamente i Territori palestinesi tra il 2000 e il 2005 con lo scoppio della Seconda Intifada. Rispetto alla prima, questa fu molto più violenta e portò alla morte di quasi cinquemila palestinesi e più di mille israeliani. Nel 2002, nel pieno della sollevazione popolare palestinese, Israele cominciò la costruzione di un muro di separazione tra i propri territori e quelli palestinesi in Cisgiordania. L’obiettivo dichiarato era quello di controllare gli spostamenti per impedire l’organizzazione di attacchi terroristici a danno della popolazione israeliana. Il tracciato del muro non rispettava però la Linea Verde stabilita nel 1949 fra Israele e il regno di Giordania, discostandosi in alcuni casi di decine di chilometri. La sua costruzione ha avutoe continua ad avere un impatto negativo sulla vita dei palestinesi. Il muro separa fra di loro comunità e impedisce l’accesso delle persone ai servizi nonché a strutture religiose, culturali e ai mezzi di sussistenza. Israele continua a mantenere una consistente presenza militare in Cisgiordania, dove negli ultimi vent’anni ha anche accelerato la sua politica di espansione delle colonie, città e insediamenti israeliani in territorio palestinese.

La striscia di Gaza è una regione costiera di 360 km quadrati, popolata da più di 2 milioni di persone e di cui oltre 1 milione e 400mila con lo status di rifugiati. Dal 1967 fino al 2005, anche questa zona è stata occupata militarmente da Israele. Nel 2007, due anni dopo il ritiro israeliano, Hamas ha preso il controllo della Striscia e da allora Israele continua a operare un blocco quasi totale dei valichi di frontiera e degli accessi via mare e aerei. Oggi a Gaza oltre l’80% della popolazione vive grazie agli aiuti umanitari, mentre il tasso di disoccupazione sfiora il 50%. A causa delle continue chiusure dei valichi d’accesso, da parte israeliana, le poche imprese che si dedicano alla produzione di beni di prima necessità lavorano a intermittenza. 

La creazione di due stati, uno israeliano e uno palestinese, per anni è stata privilegiata a livello internazionale ed è stata preferita all’idea della nascita di un solo stato binazionale o al conferire il controllo dei territori palestinesi alla monarchia giordana. 

Oggi, però, questa soluzione è sempre più contestata: tra i palestinesi sono aumentati notevolmente coloro che la reputano impraticabile a causa delle colonie israeliane. Anche da parte israeliana la fiducia nell’attuazione di questa soluzione è diminuita, nonostante sia ancora condivisa dalla maggioranza della popolazione. La leadership israeliana sembra non essere più disposta a sostenerla, portando avanti invece un progetto di annessione progressiva dei territori palestinesi. 

A fine dicembre 2022 si è ufficialmente insediato l’ennesimo governo guidato da Benjamin Netanyahu, dopo che la coalizione di destra di cui fa parte il suo partito, il Likud, aveva vinto le elezioni parlamentari ottenendo 65 seggi su 120. 

Fra le prime decisioni dell’esecutivo di Netanyahu ci sono state la legalizzazione di colonie israeliane in Cisgiordania già esistenti e l’approvazione della costruzione di nuove colonie. La comunità internazionale denuncia come illegali le colonie israeliane nei territori palestinesi e le ritiene il principale ostacolo per il raggiungimento della pace. 

La mattina del 7 ottobre di quest’anno un attacco di Hamas è stato lanciato dalla Striscia di Gaza, cogliendo di sorpresa Israele. Migliaia di razzi da Gaza sono stati lanciati verso le regioni del centro e del sud di Israele. Allo stesso tempo, miliziani del gruppo palestinese islamico – che Stati Uniti, Unione europea e molti altri Paesi designano come organizzazione terroristica – oltrepassavano il confine israeliano dalla Striscia di Gaza per dare inizio a un’aggressione e prendere il controllo di alcune località nel sud del paese. Nell’attacco i miliziani di Hamas hanno ucciso almeno 1.400 israeliani, quasi tutti civili e molti bambini, causato più di 3mila feriti e preso in ostaggio circa 240 persone. L’escalation tra Hamas e Israele è stata da molti descritta come la più violenta degli ultimi anni. 

Il governo israeliano, tuttavia, si è prontamente riunito per rispondere alla crisi. Decine di aerei hanno preso il volo, diretti sulla Striscia nel tentativo di colpire obiettivi militari di Hamas. Il ministero della Salute di Gaza ha fatto sapere che a causa dei bombardamenti dell’aviazione di Israele nell’enclave palestinese sono più di 10mila i morti e più di 26mila i feriti, ancora una volta quasi tutti civili e moltissimi bambini.

In queste ore, mentre l’esercito israeliano entra nella striscia di Gaza, ci sono nuovi attacchi di Hezbollah dal Libano sulla Galilea.

Nell’omelia di ieri (Domenica 12/11) il Papa ha detto forte e chiaro: “Basta con le guerre, la vita di ogni persona è sacra!” Bisogna portare a Gaza aiuti umanitari e gasolio per gli ospedali, senza il quale in queste strutture non si potranno più assistere i malati e i feriti. Bombardare gli ospedali, poi, è un atto vile e in netta violazione agli accordi di Ginevra. Quello di Netanyahu è il governo più di destra della storia dello Stato ebraico: i partiti che ne fanno parte difendono posizioni conservatrici e ultraortodosse, contestando l’idea della “soluzione a due Stati” per il conflitto israelo-palestinese.

Rabbrividisco pensando alle parole pronunciate da Amihai Eliyahu, il ministro per la tradizione ebraica e responsabile degli Affari e del Patrimonio di Gerusalemme. Egli in un’intervista ha detto senza particolari giri di parole che una bomba atomica su Gaza “sarebbe una delle possibilità”anche se questo dovesse costare la vita dei 240 ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas, perché “la guerra ha un suo prezzo”.

Ebbene, io penso che tutte le guerre siano stupide. Non ci saranno mai né vincitori né vinti, ma solo sofferenza, morte e distruzione.

E’ per questo che voglio lanciare un appello ai soldati israeliani, ma più in generale ai soldati di tutto il mondo. Farò mie le parole di Sun Tzu: “Ci sono strade da non seguire. Ci sono eserciti da non colpire. Ci sono città da non assediare. Ci sono terreni su cui non combattere.”

Ma soprattutto: “Ci sono ordini del capo da non eseguire!”

Beniamino Furno

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