La mafia ha la memoria di elefante, la maggioranza degli italiani un po’ meno. E i politici ne approfittano
Una volta Giovanni Falcone disse che la mafia ha una memoria da elefante. Se tutti gli italiani avessero questa memoria ne avrebbero ben donde delle posizioni contraddittorie che assumono i politici (se così possiamo chiamarli), rispetto a quanto affermato in passato, e del loro camaleontismo.
In ordine al caso Siri – il sottosegretario al Mit in quota alla Lega indagato per aver preso una mazzetta di 30.000 euro da Palo Arata al fine di favorire Vito Nicastri, il re dell’eolico in Sicilia, del quale il Pm di Palermo, Gianluca De Leo, ha chiesto una condanna a 12 anni per la sua vicinanza a Matteo Messina Denaro – Salvini dice, a più riprese, che “i processi si fanno in tribunale e non sui giornali”. Ma nel 2017, gli rintuzzano i 5 Stelle, a proposito delle dimissioni di Simona Vicari da sottosegretaria dem pure del Mit perché indagata di concorso in concussione, disse: “le dimissioni non mi soddisfano. Non basta chiedere scusa e dimettersi”. Di Maio, il suo alleato di governo, che insieme al premier Conte chiede a Siri di dimettersi, nel corso della trasmissione del 5 maggio scorso di “Non è l’Arena” ha detto: “Se c’è un sottosegretario che fa il santo in Paradiso per un imprenditore, mentre tutti gli altri imprenditori, che non hanno santi in Paradiso, devono sgobbare ogni giorno perché non hanno leggi…”. A questo punto l’interruzione insignificante del conduttore Massimo Giletti, quello che per farsi seguire, in ogni stacco pubblicitario de La 7, dice “seguiteci, perché ‘Non è l’Arena’ va fino in fondo”, non ha fatto completare il concetto a Di Maio. Ma si capiva cosa volesse dire Di Maio, il quale, tuttavia, pensando che gli italiani che hanno votato il M5S non abbiano memoria, all’atto della costituzione dell’attuale governo, aveva proposto Armando Siri come ministro dell’Economia, quando già sapeva che nel mese di marzo 2018, dopo le elezioni e prima che si costituisse il governo, il predetto Siri aveva patteggiato una condanna a un anno e otto mesi (pena sospesa) per bancarotta fraudolenta.
Salvini, se solo avesse voluto essere riconoscente a Di Maio, per il fatto che il suo alleato di governo si è dato un gran daffare nel suo Movimento perché il capo della Lega non venisse consegnato al Tribunale del Ministri di Catania, avrebbe dovuto accogliere l’invito di far fare da parte Armando Siri. Ma, dal momento che Paolo Arata sarebbe il consigliere di Salvini, a meno che non vi siano altri motivi per cui il ministro dell’Interno difende Siri, si capisce perché questi fa il garantista. La Lega quindi è giustizialista verso gli avversari e garantista verso i propri uomini.
Per averne la conferma, basti andare indietro di 26-27 anni, ai tempi di “Mani Pulite”, per capire come allora la Lega fosse forcaiola e giustizialista verso gli avversari. In seguito a quella inchiesta della Procura di Milano, che finì per allargarsi, come un effetto domino, in altre Procure d’Italia, compreso quella di Benevento che dispose l’arresto di Antonio Pietrantonio, il sindaco amico di Mastella di più lungo corso del capoluogo sannita, si determinò, infatti, una situazione per cui vennero a trovarsi, tra indagati e rinviati a giudizio, un centinaio di parlamentari.
Allora, quando non erano trascorsi nemmeno due anni dalle elezioni politiche del 5 aprile 1992, sul finir del 1993, Umberto Bossi, insieme ad Achille Occhetto, chiese al Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, le elezioni anticipate, minacciandolo di impeachment per l’affare dei molti milioni di lire che prendeva ogni mese dai Servizi Segreti. Cosi, dopo che il presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi, si reca al Quirinale per rassegnare il mandato, ricevuto il 28 aprile 1993 per un tempo definito in seguito alle dimissioni del governo di Giuliano Amato, Scalfaro, il 16 gennaio 1994, scioglie le Camere, senza dire a Ciampi di tornare in Parlamento per verificare l’esistenza di maggioranza in sostegno del suo governo. Le nuove elezioni, che si svolgono il 27 marzo del 1994, danno l’avvio alla cosiddetta Seconda Repubblica e alla costituzione del primo governo Berlusconi, di cui Mastella, in quota Ccd, diventa ministro del Lavoro.
Poiché la Lega è posizionata, nei sondaggi, sul 30%, probabilmente molti italiani non ricordano che Roberto Maroni, ministro del lavoro del secondo governo Berlusconi (2001-2005) varò un decreto, secondo il quale, per evitare il dissanguamento delle finanze dell’Inps, il lavoratore che avesse maturato il diritto alla pensione, avrebbe potuto congelare questo diritto, continuando a lavorare, con il vantaggio di trovarsi in busta paga ciò che il datore di lavoro avrebbe dovuto versare per lui come contributi previdenziali. Ora, che le finanze dell’Inps sono ancora più dissanguate, Salvini ha voluto il varo di quota cento, una misura che va nella direzione opposta a quella voluta da Maroni.
Ora, è capitato che alla fine della settimana scorsa, Luigi Di Maio abbia detto a Maria Latella, su Sky TG24, a proposito del caso Siri: “Conosco un po’ la Lega e un po’ Salvini. Sono persone intelligenti che hanno a cuore questa esperienza di governo. Far cadere il governo per una inchiesta di corruzione su di un sottosegretario leghista, mi sembra un po’ azzardato. L’ultimo che l’ha fatto, e non li sto paragonando, è stato Mastella quando fece cadere il governo Prodi, sull’inchiesta che partì a Benevento e a Ceppaloni. Penso che tutti i retroscena lascino il tempo che trovano”.
Questa dichiarazione manda in bestia Mastella che, in un comunicato, diffuso il 6 maggio, dice: Leggo e vedo che l’onorevole Di Maio continua a tirarmi dentro nella vicenda che riguarda il sottosegretario Siri. Voglio dirgli con estrema franchezza che mi ha letteralmente rotto le palle perché la mia vicenda è completamente diversa rispetto a quella attuale. Io, infatti, mi dimisi pur ritenendo che fossi innocente. Convinzione successivamente avvalorata anche dai verdetti giudiziari che, sia pure a distanza di anni, hanno restituito piena dignità sia alla mia persona che alla mia famiglia, oltre che al mio partito (l’Udeur – ndr). Partito che , voglio ricordarlo, per quella vicenda fu distrutto in maniera clamorosamente ingiusta, e forse deliberata. L’onorevole Di Maio, anche per ragioni anagrafiche (beato lui!), dimostra ancora una volta di conoscere poco i fatti riguardanti una circostanza in cui, tra l’altro, ebbi scarsissima solidarietà politica e umana da parte dei miei stessi alleati di governo. E’ a tutti noto, infatti, che i voti dell’Udeur non furono determinanti per la caduta del governo Prodi per il semplice fatto che i voti contrari furono 161, quelli favorevoli 156 e i parlamentari dell’Udeur erano solo 3, di cui 1 (Cusumano) votò a favore. Pertanto gli consiglio di utilizzare altri argomenti per alimentare la querelle con il collega vicepremier Salvini”. Anche Mastella, con questa dichiarazione, ha pensato, forse a ragione, che gli italiani abbiano memoria corta.
Allora, noi che abbiamo buona memoria, facciamo la ricostruzione dei fatti di quel periodo. E’ indubbio che fosse eterogenea la maggioranza dell’Unione, una maggioranza che metteva insieme i due estremi: Bertinotti, da una parte, e Dini e Mastella, dall’altra. In virtù di questa situazione e delle posizioni dialettiche che assumeva Mastella all’interno di quella maggioranza, suscitando ostilità da parte di PdCI e Rc, Berlusconi and company corteggiavano Mastella invitandolo a rompere.
Quando poi la moglie viene raggiunta dagli arresti domiciliari nel gennaio 2008, e non soltanto per aver detto “quello per me è un uomo morto” all’indirizzo di Annunziata, nominato, pare, dall’Udeur quale direttore dell’ospedale “S.Anna” di Caserta, Mastella si dimette da Guardasigilli il 16 gennaio 2008, prima ancora che lui, con uomini del suo partito, venga coinvolto in un altro filone giudiziario terminato nel mese di settembre 2017, con una assoluzione, sia nei suoi confronti che di tutti gli imputati. Questa assoluzione ha fatto discutere non pochi, con quella libertà di giudizio che la Cassazione ha riconosciuto ai cittadini, nel dire che le sentenze si rispettano ma possono non essere condivise. Prodi esprime solidarietà a Mastella per la vicenda che aveva riguardato la moglie, e congela le dimissioni, in attesa di un ripensamento dell’attuale sindaco di Benevento.
Ma Mastella, che non ha alcun ripensamento, non si ferma alle dimissioni. Osannato da Forza Italia, presenta, infatti, la mozione di sfiducia contro il governo, mozione che, respinta dalla Camera dove il governo ha una larga maggioranza, passa invece al Senato il 24 gennaio 2008, dove Prodi ha una maggioranza molto risicata, e dove Dini e Fisichella, de La Margherita, Turigliatto, di Rifondazione comunista, e Rossi, del PdCI, hanno già assunto, partendo da premesse diverse tra di loro, una posizione di rottura verso la maggioranza. Rottura che non viene formalizzarla con una mozione di sfiducia, perché i predetti dissidenti, eterogenei tra di loro, sono insicuri che una loro iniziativa possa mettere il governo in minoranza. La mozione di Mastella invece dà la stura alla concretizzazione di quella posizione di rottura. Mastella, quindi, diventa determinante per far cadere il governo, anche se viene meno Cusumano, che per il suo gesto si guadagna, cosa che Mastella ha omesso di dire, uno sputo in faccia da Tommaso Barbato, il funzionario della Regione finito poi sotto processo, per aver affidato lavori a persone in odore di camorra.
Mastella, però, trattato alla stregua di un cane rognoso, come lui stesso dirà su You Tube, rimane con un pugno di mosche in mano, perché Berlusconi, prendendo a pretesto la vicenda in cui è rimasta coinvolta la moglie, che sarà anche costretta a non dimorare in Campania, non accetta l’Udeur, e quindi Mastella, nella sua coalizione che lui ha costituito per competere, con successo, contro quella di Walter Veltroni, nelle politiche del 2008. Dopo tutto questo, il 62% dei cittadini di Benevento, il 19 giugno 2016, ha scelto Mastella quale sindaco di Benevento.
Giuseppe Di Gioia
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