Padre Gregorio Maria Rocco, il frate napoletano più potente del re


di Mons. Pasquale Maria Mainolfi
L’amico e dirigente scolastico Luigi Antonio Gambuti, collaboratore di Realtà Sannita, mi ha inviato un prezioso ed agile libretto tascabile arricchito da tante incisioni del XVIII e XIX secolo, con l’invito a scrivere una recensione che dia meritata visibilità alla documentata ricerca.
Autore dello scritto è il prof. Ludovico Silvestri, docente di Lettere presso il liceo “Garibaldi” di Casoria, accurato e puntuale cultore di storia, di agiografia e cultura popolare, licenziato in Teologia e diacono permanente nella Chiesa di Napoli. Una persona perbene. Ha curato varie ricerche e pubblicazioni, illuminando tematiche importanti, come il presepe napoletano e le più significative tradizioni di Napoli e dell’entroterra. Recentemente ha pubblicato un ammirevole lavoro sul culto del santo patriarca Giuseppe di Nazaret, sposo di Maria e custode del Redentore. Attraverso i suoi studi, lo storico Silvestri, ha riacceso il dibattito culturale su storie e luoghi importanti della Chiesa di Dio che vive in Napoli.
Con l’ultima pubblicazione, il forbito scrittore, con acribìa storica, presenta la nobile e straordinaria figura di “Padre Rocco. Il monaco di Napoli più potente del sindaco, dell’arcivescovo e anche del re”, Colonnese Editore, Napoli 2023, 77 pagine, in prima di copertina il dipinto “Frate Domenicano” di anonimo del XVIII secolo.
La storia ed il messaggio sono veramente avvincenti e coinvolgenti. Protagonista è un ”uomo del popolo presso la Corte e uomo della Corte presso il popolo”. Si tratta di Padre Gregorio Maria Rocco, al secolo Antonio Maria, nato a Napoli il 4 ottobre 1700 da Matteo e Anna Storace, battezzato il giorno seguente nella chiesa di San Giovanni in Corte dal parroco don Felice Mastello. Come afferma lo scrittore e drammaturgo francese, maestro del romanzo storico e del teatro romantico, Alexandre Dumas: “la venerazione in cui si ha a Napoli Padre Rocco, ha fatto conservare perfino il nome della levatrice che lo aveva raccolto. Ella si chiamava Teresa Monaca”. L’intelligenza e l’acuta curiosità del ragazzo induce il parroco don Ignazio Focaccia a fargli frequentare le scuole rigorose dei Gesuiti ma, spinto da grande devozione mariana, questi sceglie i seguaci di San Domenico di Guzman, entrando nel convento domenicano del quartiere Sanità, dove il 19 marzo 1718 veste l’abito dei frati predicatori. A 22 anni, con dispensa papale, riceve l’ordinazione sacerdotale. Accetta con riluttanza la carica di docente di filosofia per i laici professi perchè non è questo il teatro dove il suo vasto genio sente di dover spendere la vita. Preferisce imitare San Francesco de Geronimo, nel “ridurre le meretrici alla penitenza, rinchiuderle in un luogo sicuro, perseguitar il giuoco ed il peccato e fino volle imitarlo in usar la sua lunga corona per percuotere chi operava male”. Manifesta il desiderio di partire missionario nelle Indie per annunciare il Vangelo oltre oceano ma i superiori non glielo permettono. Allora Padre Rocco comincia ad operare “negli angoli più vivi” di Napoli, dove un velo tenebroso suole di sovente “coprire il delitto e del disordine”. Fa la scelta fondamentale del popolo, “la gente più scostumata e mancante affatto di educazione”. Diventa un vero apostolo in mezzo ai “lazzaroni”. Vive intensamente la Messa, prega con vivo fervore, amministra con generosità i sacramenti e poi si immerge con indomita audacia tra le mille miserie e necessità del popolo che lo ammira, lo ascolta e lo segue con sconfinata fiducia. E’ gioviale sempre, ma il suo fisico ed il suo sguardo incutono timore e rispetto per l’autorevolezza della sua cultura e testimonianza di vita. Onesto, disinteressato, generoso, uomo di Dio impegnato nel sociale, diventa l’uomo del popolo presso la Corte e l’uomo della Corte presso il popolo. La Casa Reale lo onora della sua amicizia, mentre il Frate lancia parole di fuoco contro maghi, fattucchieri e usurai. Attraversa i luoghi moralmente più squallidi al solo fine di redimere malviventi, meretrici, giocatori d’azzardo, fino a mettere in pericolo la sua sessa vita. Non ha timore di parlare dei “castighi divini” inducendo al pentimento. La sua oratoria colpisce ed incanta. È amico di Carlo III di Borbone e della moglie Maria Amalia di Sassonia. Viene scelto come confessore presso la Casa Reale. Convince il re a costruire un palazzo per i più fragili e nasce così il “Real Albergo dei poveri”, opera imponente. A Padre Rocco si deve anche la diffusione del presepe nelle case del popolo e della borghesia sollecitando estro e fantasia dei napoletani. Per illuminare le strade, contrastare il fenomeno della mala vita e scoraggiare ladri e assassini, convince Ferdinando di Borbone, succeduto nel 1759 al padre Carlo, ad illuminare le strade ma le casse del regno non lo consentono dappertutto. Interviene Padre Rocco, entusiasma il popolo e fa realizzare in tutti i vicoli tante edicole votive capaci di illuminare la notte senza far spendere nemmeno un ducato alle casse del Regno. Nasce in questo contesto storico il famoso detto napoletano: ”A Maronna t’accompagna!”. Anche nel Sannio, il domenicano Vincenzo Maria Orsini promuove queste “finestre di cielo” che definisce “Oratoria viarum”. A Padre Rocco, acclamato dalla Corte e dal Popolo, non mancano però le avversità di nobildonne influenti e uomini di Chiesa gelosi che contestano i suoi metodi pastorali. Viene esiliato dai superiori a Somma Vesuviana. Ma l’indomito Frate ancora combatte la smania del popolo per il gioco del lotto ed ottiene dal re un decreto che proibisce l’attività delle “case di gioco” che riducono in miseria persino le migliori famiglie di Napoli. Carestie ed epidemie fanno emergere poi il problema sanitario delle sepolture. Padre Rocco convince re Ferdinando a costruire il pubblico cimitero “Santa Maria del popolo” fuori le mura della città, anticipando di 40 anni l’Editto di Saint Cloud del 1804. L’editto napoleonico viene reso obbligatorio da Gioacchino Murat, divenuto re di Napoli, nel 1813. Il coraggioso Frate diventa punto di riferimento anche durante l’eruzione del Vesuvio del 1767 e del 1779, ed è lui a sedare la ribellione del popolo ed a convincere l’arcivescovo Filangieri a portare fuori dalla Cappella del Tesoro il busto col capo di San Gennaro. Il santo ferma così la lava con uno strepitoso miracolo.
Padre Rocco non è un santo ma certamente è un uomo di Chiesa a servizio degli ultimi, capace di contrastare con la sua azione culturale, pastorale e devozionale, la cultura laica del XVIII secolo. Il 2 agosto del 1782, l’anziano Padre Rocco, sfinito dalle fatiche apostoliche, riceve l’Unzione degli infermi e con un sorriso di felicità sulle labbra, ripetendo le parole di San Paolo “Cupio dissolvi et esse cum Christo”, termina la sua giornata terrena. Termina la sua avventura apostolica ma non il bene dei napoletani che continuano ad amarlo come autentico “apostolo della carità”.

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