Francesco Boccia sappia che il Partito Democratico Sannita non è una tribù
Stefano Feltri, un giornalista di 38 anni, ma che è sulla breccia da almeno 15, qualche giorno fa, su Domani, il giornale di Carlo De Benedetti, del quale è direttore sin dal 15 settembre 2020, quando è andato alle stampe per la prima volta, ha scritto: La storia del Pd è finita. Ma Feltri non è l’unico a esprimere giudizi di questo tipo. Marco Damilano, già direttore del L’Espresso dal 2017 al 2022, collaboratore del Domani esprime pressappoco gli stessi giudizi. Qualche altro giornale ha scritto che bisogna dare al Pd degna sepoltura e poi elaborare il lutto.
Non ci si deve meravigliare perché tutta la stampa italiana è in mano ai poteri forti, quelli che hanno sostenuto Fratelli d’Italia e che, pensando che la formazione di Giorgia Meloni possa fare la fine della Lega che, dal 34,26% delle europee del 2019 è scesa ora all’8,9% (i partiti di opinione, infatti, si gonfiano e si sgonfiano improvvisamente), sanno che debbono dare in testa al Pd, l’unico partito che, stratificato, quando tutto va male si sposta solo di un punto in più o in meno, come adesso, da quel 20%, la percentuale sulla quale l’hanno tenuto sempre inchiodato tutti i sondaggi.
E gli ha dato in testa anche il direttore di un giornale fuori dal coro, Marco Travaglio, interessato ad esaltare la rimonta dei 5 Stelle che si sono quotati sul 15,6% rispetto a un massimo 10% che gli attribuivano i sondaggi. Il direttore del Fatto Quotidiano, però, si è guardato bene dal dire che nel 2018, i 5 Stelle avevano avuto il 32,7%.
Se la vogliamo dire tutta, dobbiamo ricordare che il Pd, nel 2018 ha avuto il 18,7% e che ora ha conseguito il 19,07%. Marco Travaglio dice che in quel 19,07% c’è anche Articolo Uno di Bersani e di Speranza, ma non dice che nel 18,7% del 2018 c’era Matteo Renzi. Però, nel 2018, questo lo diciamo noi, il Pd ebbe una debacle, perché, rispetto al 25,4% del 2013, perse il 6,7%.
Non a caso, Enrico Letta dice che il risultato non è stato catastrofico, rispetto al 2018, ma l’insuccesso, aggiungiamo noi,era abbondantemente annunciato, perché il segretario del Pd, non avendo smaltito il dissapore nei confronti di Giuseppe Conte ritenuto responsabile della caduta del governo Draghi, non ha realizzato con lui il campo largo, campo che, alla luce dei risultati usciti dalle urne, sarebbe stato vincente nel senso che si sarebbe attribuito la maggioranza dei seggi. Letta, però, non ha valutato che la legge elettorale impone, per vincere nei collegi uninominali, la formazione di coalizioni più tecniche che politiche.
A Benevento, invece, rispetto al risultato già magro (15,41%) del 2018, sebbene superiore a quello della Campania, il Pd ha subito un calo del 2,47%, avendo conseguito il 12,94%. Non a caso, il segretario provinciale, Giovanni Cacciano, nel convocare l’assemblea dei segretari di circolo per il 14 ottobre, ha parlato di disastrosa sconfitta.
Anche qui, la sconfitta era annunciata, poiché, rispetto al voto unanime dell’Assemblea provinciale del Pd unitamente ai segretari di circolo nella seduta del primo agosto sulla proposta di candidatura dell’esterno Angelo Moretti nel collegio uninominale per la Camera Benevento-alto Casertano, la Direzione nazionale del Pd, inopinatamente, ha candidato, al posto di Angelo Moretti,la presidente provinciale del Partito, Antonella Pepe, cui era stata data una candidatura di servizio nel listino proporzionale Benevento-Caserta.
Per dare l’idea di come sia stata suicida per il Pd la sostituzione, nata sull’asse Napoli-Roma, bisogna dire che Angelo Moretti, alla guida di una coalizione civica nelle comunali di Benevento del 3 e 4 ottobre 2021, ma che nel ballottaggio si è unito al candidato sindaco di centro sinistra, ha conquistato 4.682 voti, anche perché egli è alla guida del Sale della Terra, una struttura impegnata nel campo della solidarietà.
Moretti, se candidato, avrebbe portato con sé gran parte di quei voti. La candidatura di Antonella Pepe ha creato, invece, scompiglio nella base del Pd. Più di un segretario di circolo ha manifestato pubblicamente il proprio disappunto e il proprio disimpegno, a parte l’assicurazione del voto degli iscritti, rispetto a una candidatura varata del centro in dispregio di quanto deciso dagli organi collegiali del Partito.
Nella resa dei conti del 7 ottobre, quando si è riunita, presso la sala consiliare della Rocca dei Rettori, l’assemblea provinciale del Partito, il consigliere provinciale, nonché sindaco di Foiano in Valfortore, Giuseppe Antonio Ruggiero, ha presentato una mozione di sfiducia nei confronti di Antonella Pepe, recante 54 firme su 60 componenti l’Assemblea.
Alla fine, dopo 9 interventi, su appello nominale effettuato da Antonella Pepe, la mozione ha avuto 39 voti favorevoli, qualcuno da remoto, contro 5 astenuti, qualcun pure da remoto. Nessuno che abbia espresso voto contrario.
Questo passaggio, che ha rispettato tutti i criteri che la democrazia richiede, è stato giudicato un “atto tribale”, dal commissario regionale del Partito, Francesco Boccia, un giudizio controbattuto da Umberto Del Basso De Caro, deputato uscente, al quale, per dare spazio ai catapultati in Campania, Letta non ha dato un collegio utile. Quello senatoriale nell’uninominale Benevento-Avellino, rivelatosi di copertura non avendo il segretario del Partito dato vita al campo largo, non è stato accettato poi, per le ragioni anzidette, anche se la candidatura diDel Basso De Caro, era stata proposta all’unanimità dagli organi collegiali del Partito di Avellino e di Benevento.
Nella sua nota, pubblicata integralmente dal nostro giornale, Del Basso De Caro, chiede a Boccia “come qualifica la decisione di calpestare il deliberato assunto, sempre all’unanimità, dalla medesima assemblea il primo di agosto?”. E ancora chiede a Boccia: “Come qualifica il comportamento di chi (Antonella Pepe – ndr) dal primo al 15 agosto, dopo aver votato a favore della candidatura di Angelo Moretti, ha operato in favore della propria candidatura, senza dare avviso a nessuno se non agli sponsor romani?”. E inoltre, chiede sempre a Boccia, come qualifica il comportamento del neo parlamentare (Stefano Graziano – ndr) che, intervenendo nel dibattito del 7 ottobre ha ripetutamente ‘minacciato’ il segretario provinciale e il presentatore della mozione di sfiducia in calce alla quale vi erano 54 firme di sottoscrizione su 60 aventi diritto?”. Infine, domanda sempre Del Basso De Caro a Boccia, poiché l’unanime deliberato ha rispettato tutti gli anzidetti criteri della democrazia, “nel pieno rispetto dello Statuto e del Regolamento, quali sarebbero le conseguenze politiche cui una intera Federazione sarebbe esposta?”.
Ma la nota con cui Del Basso De Caro ha chiesto delle spiegazioni a Francesco Boccia sarebbe sconclusionata secondo Stefano Graziano. Invece, non si capisce cosa voglia dire lui nella sua nota. Infatti, poco informato di vicende e candidature, ha detto che Antonella Pepe era stata candidata nel collegio uninominale per la Camera Benevento Caserta, non accettato da Del Basso De Caro. Altro passaggio sconclusionato di Stefano Graziano, che peraltro ha negato a Del Basso De Caro il diritto di intervenire nel dibattito, è quello in cui egli dice che la mozione è stata votata da 39 favorevoli su 66 aventi diritto, per poter affermare che il voto ha “sostanzialmente spaccato in due il partito”. Niente di più falso. Gli altri 16 componenti (ai 39 bisogna aggiungere, infatti, anche i5 astenuti), perché l’assemblea si compone di 60 e non di 66 aventi diritti, erano semplicemente assenti, anche da remoto, sicché non hanno votato.
Ma rispetto a quel voto, e a ciò che lo ha determinato, sono intervenuti, il giorno dopo la seduta dell’Assemblea, anche i tre vice segretari (Fausto Pepe, Giovanna Petrillo e Pio Canu) con proprie argomentate note, pubblicate integralmente dal nostro giornale. Canu, però dice una cosa molto importante che, da sola basterebbe a smentire quanto scritto da Graziano: la candidatura di Moretti era stata condivisa dalla federazione di Caserta. Ma sempre smentendo Graziano, Canu precisa che l’indistinta rosa di nomi, di cui parla il neo deputato, sulla quale si deve pronunciare la Direzione nazionale del Partito è quella relativa alle candidature nel Proporzionale.
In difesa di Antonella Pepe, è intervenuto, sulla stampa, anche Peppe Provenzano, il vice segretario nazionale del Pd che avrebbe caldeggiato, se non operato, la sostituzione di Angelo Moretti,senza sapere quali danni avrebbe prodotto al Partito nella provincia di Benevento. Provenzano ha osato dire che “Antonella Pepe serve il Partito, non i capibastone. Egli, Infatti, siciliano di San Cataldo, sa chi sono i capibastone, perché la Sicilia ne è molto popolata. La provincia di Benevento, che è un’isola felice, non rapportabile comunque alla Sicilia, al Napoletano e al Casertano, non ha, capibastone, e semmai ve ne dovessero essere, albergano in altre formazioni politiche, non nel Pd.
Sta di fatto che, per il modo come sono stati candidati Antonella Pepe, Susanna Camusso e lo stesso Stefano Graziano, quei 15.474 elettori della provincia di Benevento che hanno votato Pd sono stati degli eroi. Chi scrive, non per la candidatura di Antonella Pepe, della cui non elezione era certo, si è dovuto tappare il naso quando ha barrato il simbolo del Pd, perché sapeva che con il suo voto avrebbe contribuito alla elezione di Stefano Graziano, candidato alla guida del proporzionale, perché, se fosse scattato il seggio, l’eletto sarebbe stato lui.
In suo favore, infatti, delle persone poco raccomandabili, che Provenzano chiamerebbe capibastone, avrebbero organizzato il voto, nelle elezioni regionali del 2015, stanti intercettazioni telefoniche. Ovviamente, non essendo emersa dalle intercettazioni una contropartita in cambio del voto, Graziano è uscito indenne da questa inchiesta, perché non è stato commesso alcun reato. Ma il problema, è certamente di natura politica, perché, viene da domandarsi, come mai quei signori avrebbero organizzato il voto in favore di Graziano. Graziano, poi, nel 2016, nella veste di consigliere regionale, sarà anche indagato, abbiamo letto in un giornale online, sugli appalti ai casalesi.
Giuseppe Di Gioia