Sconfitto il Triunvirato Deluchiano, il Partito Democratico rimane sotto il controllo di Umberto Del Basso De Caro
Il nuovo corso del Pd, annunciato dall’allora presidente del Pd Antonella Pepe nella conferenza stampa tenuta nel bar di Palazzo Paolo V il 27 settembre, non ha preso neanche avvio che è stato subito sconfitto, nell’assemblea del Pd del 7 ottobre scorso.
A margine di quella conferenza, scrivemmo che quel nuovo corso, per prendere consistenza, avrebbe dovuto passare su molti cadaveri: i gruppi consiliari del Comune e della Provincia di Benevento, i segretari di circolo e l’assemblea provinciale del Pd.
E facemmo questa considerazione, non perché i nuovi corsi della politica ci spaventassero. Tutt’altro. Ogni formazione politica è in continuo divenire, per cui l’innovazione è nel suo dna. Ma per nuovo corso, in quel caso, si intendeva un cambio di indirizzo organizzativo, finalizzato ad emarginare dirigenti ed esponenti storici del Partito non graditi agli ambienti alti di Palazzo Santa Lucia, ambienti con i quali si è sintonizzata Antonella Pepe, ambienti da lei sempre combattuti per il fatto che essi, postisi contro l’indirizzo politico autonomo del Pd Sannita, un anno fa hanno sostenuto la ricandidatura di Clemente Mastella a sindaco di Benevento, facendo presentare in suo sostegno una lista da consiglieri uscenti del Pd, ai quali non è stata rinnovata l’iscrizione al Partito.
Nella campagna elettorale di un anno fa è venuto a Benevento Enrico Letta a sostenere la coalizione guidata da Luigi Diego Perifano, che, contrapposta a Mastella e quindi a quei dem che lo sostenevano, comprendeva il Pd.
La neo deluchiana, quando ancora non si sapeva che sarebbero state sciolte le Camere, si era resa promotrice di una alleanza con Mastella che, con il suo Noi di centro era alla disperata ricerca, in funzione delle elezioni politiche della primavera prossima, di formazioni politiche che lo accogliessero come alleato perché avesse una rappresentanza parlamentare.
Questo lo abbiamo capito dalle conclusioni del segretario Giovanni Cacciano, al termine del dibattito sviluppatosi nel corso della seduta dell’assemblea provinciale del Pd.
Un dibattito incentratosi sul modo come i vertici del Pd abbiano candidato Antonella Pepe nell’uninominale per la Camera nel collegio Benevento-alto Casertano, eliminando la candidatura di Angelo Moretti, un consigliere comunale espresso da una coalizione di liste civiche, proposta all’unanimità dalla riunione dell’Assemblea provinciale allargata ai segretari di circolo, tenutasi il primo di agosto all’Una Hotel. Va ricordato che la coalizione di liste civiche guidata da Angelo Moretti raccolse nelle elezioni amministrative di un anno fa 4.682 voti.
Non diciamo che quei voti sarebbero confluiti tutti nel Pd, ma una grandissima parte Moretti li avrebbe portati con sé. Va poi considerato il fatto che il Sale della Terra, alla cui guida c’è Moretti, fa parte di una catena, diffusa sul territorio nazionale, di simili strutture.
I vertici del Pd, calando dall’alto la candidatura di Antonella Pepe, hanno inteso rinunciare all’apporto di alcune migliaia di quei voti, oltre che umiliare la scelta unanime dell’Assemblea del primo agosto.
L’operazione, come abbiamo potuto percepire dall’intervento dell’aversano Stefano Graziano nel corso deldibattito del 7 ottobre, avrebbe avuto anche i buoni auspici in sede regionale, in funzione, dobbiamo ritenere, di quel nuovo corso, alla guida del quale è venuto allo scoperto, come deluchiano anche a Benevento, il consigliere regionale Mino Mortaruolo, forte, insieme ad Antonella Pepe, del sostegno anche del nominato Graziano, eletto deputato nel collegio di Benevento-alto Casertano, perché posto a guida del listino proporzionale, una elezione, quella di Graziano, alla quale hanno dovuto concorrere i 15.474 elettori del Pd della provincia di Benevento, i quali, non potendo esprimere una preferenza da trent’anni a questa parte, votando il simbolo, indirettamente hanno votato anche Stefano Graziano.
Invece, non è stato dato un collegio utile al deputato uscente Umberto Del Basso De Caro, dopo che questi aveva rinunciato alla candidatura nell’uninominale per il Senato nel collegio di Benevento-Avellino, un collegio ritenuto, come si è rivelato, non contendibile. Quindi, il Pd non ha più un parlamentare che rappresenti le aree interne della Campania, aree molto bene rappresentate, nelle due precedenti legislature, da Del Basso De Caro, per i cospicui finanziamenti fatti erogare da Del Basso De Caro in funzione della realizzazione di importanti opere infrastrutturali, quando egli è stato sottosegretario al MIT dal 2014 fin al 2018.
Ma abbiamo pure scritto, in altri importanti ”pezzi”, che la sua non candidatura in un collegio utile facevaparte della contropartita che gli ambienti alti di Palazzo Santa Lucia avevano chiesto a Letta, il segretario del Pd venuto a Benevento a sostenere il Pd Sannita contro la ricandidatura di Mastella sostenuta invece dai medesimi ambienti alti di Palazzo Santa Lucia, in cambio delle molte candidature esportate in Campania.
Dopo la puntuale relazione di Giovanni Cacciano sui risultati elettorali che penalizzano il Partito Democratico, di quale egli è segretario provinciale, relazione di cui fra qualche giorno pubblicheremo il testo integrale, si è aperto il dibattito, nel quale sono intervenuti Diego Ruggiero, il quale ha sostenuto che il 19,07% ottenuto dal Pd è una percentuale che sovrastima il Partito; Giovanni Zarro, che ha giustificato Letta sulla non formazione del campo largo; il capogruppo del Pd alla Provincia, Giuseppe Antonio Ruggiero, che ha presentato e motivato la mozione di sfiducia contro Antonella Pepe; Fernando De Gregorio; Raffaele Simone, il quale si è domandato come mai non ci sia stato garantito un risultato buono con la candidatura di Moretti, senza penalizzarci?; Italo Palumbo, il quale ha denunciato che il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, ha sostenuto la rielezione di Mastella, schierandosi contro il Pd Sannita, ed ha chiesto ad Antonella Pepe di dimettersi; il sindaco di Reino, Antonio Calzone, che ha auspicato il superamento delle contrapposizioni; Mino Mortaruolo, che ha espresso solidarietà ad Antonella Pepe: Antonella Pepe, che ha tentato di difendersi rispetto alla mozione di sfiducia, sostenendo che da non presidente del Partito avrebbe continuato a stare sulla breccia; Stefano Graziano, il quale ha invitato il segretario Cacciano a sospendere la riunione dell’Assemblea, a ritirare la mozione di sfiducia ed ha considerato immotivata la mozione neiconfronti di una donna, ritenuta colpevole (secondo lui– ndr) di essere stata candidata.
Non è potuto intervenire Del Basso De Caro, perché, secondo Graziano, l’ex deputato non si era iscritto a parlare, prima che venissero chiuse le iscrizioni, cosa inesatta in quanto la ancora presidente del Partito aveva reso nota la iscrizione dell’ex sottosegretario ad intervenire. Graziano però avrebbe pure detto (il condizionale è d’obbligo perché il passaggio di Graziano ci è stato riferito) che quando è intervenuto lui non sapeva che sarebbe intervenuto anche Del Basso De Caro. Probabilmente se lo avesse saputo, avrebbe dato una diversa impostazione al suo intervento, forse per convincere l’Assemblea a respingere la mozione di sfiducia. Ma tant’è. Figuriamoci cosa sarebbe successo se avesse preso avvio quel nuovo corso. Avremmo subito, forse, l’influenza di certi ambienti del Casertano.
Infine, nelle conclusioni, Giovanni Cacciano, ha ribadito quanto affermato nella relazione, nel senso che il Pd, mettendo da parte ogni dissapore nei confronti di Giuseppe Conte, avrebbe dovuto fare con i Cinque Stelle una coalizione tecnica, come hanno fatto le tre formazioni politiche del centro destra, in quanto laformazione di coalizioni è richiesta dalla legge elettorale per vincere nei collegi uninominali. La mancata coalizione con i Cinque Stelle ha messo il Pd nella condizione di non attribuirsi alcun collegio uninominale a Sud di Roma. Poi, Cacciano, rispondendo all’invito di Graziano, finalizzato a ritirare la mozione, ha precisato che non compete a lui ritirare la mozione, in quanto la stessa è stata presentata da Giuseppe Antonio Ruggiero. Infine, riferendosi, secondo quanto abbiamo percepito noi, ad Antonella Pepe, ha precisato, senza farne il nome, che Antonella Pepe avrebbe voluto Mastella come alleato del Pd. Ma lui ha ribadito che è stato, è e sarà sempre un avversario di Mastella.
Tutti dicono che il Pd è stato sconfitto, compresi i suoi dirigenti, anche se Enrico Letta, nella riunione della Direzione nazionale del Partito ha precisato che il risultato non è catastrofico per il Pd. Infatti, il Pd, ha avuto un incremento di voti, se così possiamo chiamarlo, dello 0,37%, rispetto alle politiche del 2018, anche se noi, nel precedente “pezzo”, avendo confuso il 19,07% con il 19,70%, abbiamo parlato dell’incremento di un punto. Ma va ricordato che le elezioni del 2018 furono una debacle per il Pd, poiché il partito che allora dirigeva Matteo Renzi registrò il calo del 6,7%, rispetto al 25,4% ottenuto nel 2013.
Si può dire, quindi, che il Pd sia stato sconfitto ma che, in rapporto alla ridotta affluenza ai seggi, non abbia perduto voti. Si parla poco, però, del fatto che la Lega abbia più che dimezzato la percentuale conseguita nel 2018, che Forza Italia sia calata dal 14% del 2018 all’8,1% di adesso. Addirittura, si parla di successo del M5S che, avendo conseguito il 25 settembre il 15,4%, avrebbe avuto una rimonta di 5-6 punti rispetto ai sondaggi, senza ricordare che la percentuale di adesso è più che dimezzata rispetto a quella (32,7%) conseguita nel 2018.
Anche Eugenio Scalfari parlò di rimonta del Pds nel 1992, quando nelle elezioni politiche di quell’anno i post comunisti calarono, dopo la scissione di Fausto Bertinotti, al 16,11%, un 2,49% in più rispetto allapercentuale conseguita dal Psi (se non ci fosse stata “Mani Pulite”, probabilmente ci sarebbe stato il sorpasso da parte del Psi). Secondo Scalfari, nemico del Psi, che candidandolo alla Camera nel 1968 lo aveva salvato dalla galera per quanto da lui denunciato sul SIFAR sulle pagine de L’Espresso, c’era stata una rimonta dei post comunisti rispetto a quanto i giornali, non i sondaggisti che allora non c’erano ancora, accreditavano il Pds.
Lo stesso discorso di Scalfari è stato fatto ora dal direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, in difesa dei Cinque Stelle, nell’ultima trasmissione di Giovanni Floris su La7.
Ecco la mozione presentata da Giuseppe Antonio Ruggiero.
“Le elezioni politiche del 25 settembre rappresentano uno spartiacque nella vita e, soprattutto, nelle prospettive del Partito Democratico.
Il Segretario Nazionale, correttamente, dopo aver riconosciuto la sconfitta, ha avviato le procedure congressuali dichiarando di voler accompagnare il Partito in questa fase delicata senza riproporsi alla guida dello stesso.
Si apre oggi una stagione nuova nella quale tutto è in discussione a cominciare dalla nostra identità. Sarebbe profondamente sbagliato cambiare l’ennesimo Segretario senza affrontare i nodi cruciali spesso sottovalutati se non elusi.
Essi riguardano il nostro profilo, il nostro modo di relazionarci con la società, la nostra agenda sociale, le nostre priorità programmatiche.
È un compito, al tempo stesso, tremendo e meraviglioso.
Tremendo perché restando nel limbo delle ‘decisioni non prese e dei giudizi sospesi’ concreto è il pericolo che il nostro consenso sia eroso in parte dal M5S ed in parte da Azione-Italia Viva come è accaduto, in Francia, ove il Partito Socialista si trova stretto tra la sinistra radicale di Mélenchon ed il centro liberaldemocratico di Macron.
È un rischio che va evidentemente evitato per restituire al Partito la funzione di guida dei processi di trasformazione della società e di autentico interprete delle speranze e dei sogni delle nuove generazioni.
Meraviglioso perché da un confronto sincero, che archivi definitivamente la stagione delle correnti e dei processi degenerativi ad esse conseguenti, da un progetto serio e credibile che indichi chiaramente una prospettiva politica ed un orizzonte per l’Italia dei prossimi venti anni, può nascere un nuovo soggetto, più attrattivo e più coinvolgente non chiuso in un sistema “monadico”, come quello attuale, ma che sappia fare da regolatore delle domande tra cittadini ed istituzioni.
Un nuovo Partito Democratico che sappia selezionare la propria classe dirigente «dal basso», rispettando in modo non formale l’autonomia dei territori, e non imponendo – complice una legge elettorale che ha sequestrato il diritto di scelta dei cittadini – candidature che mortificano ed umiliano le nostre Comunità.
Questa è la sfida che dobbiamo saper raccogliere e rilanciare nei prossimi mesi.
Essa riguarda, innanzi tutto, il Partito nazionale ma, a più forte ragione, le sue articolazioni territoriali.
In Campania siamo chiamati a scegliere tra un partito che si connoti per autonomia, autorevolezza e capacità di elaborazione di idee e progetti ed un altro modello, quello attuale, a «sovranità limitata», totalmente sottomesso ai poteri regionali.
Ma, come impietosamente ci ricordano i numeri, la sconfitta nella nostra Regione è stata ancora più netta che in altre parti d’Italia. Motivo per il quale ancora più grave è la situazione ed ancora più incalzante la necessità di un cambio di rotta nonostante le tardive perorazioni di chi, in questi anni, ha dato prova di inconsistenza politica e di supina subordinazione a qualsiasi decisione altrui.
Nel Sannio il risultato raggiunto è molto modesto anche a causa di una scelta incomprensibile operata sulla testa degli Organi Statutari e dei Circoli che, all’unanimità, avevano indicato altro candidato.
Una decisione molto grave da porre a carico della Segreteria Nazionale ma anche di chi avrebbe dovuto far rispettare il deliberato unanime del livello territoriale anziché proporsi, sostituendosi allo stesso, così come avvenuto.
Predicare il rinnovamento dando concreta prova di operare con i metodi della peggiore partitocrazia, scavalcando la unanime volontà di un intero Partito per promuovere sé stessa, infrange in modo irreversibile il rapporto fiduciario e di garanzia tra l’Assemblea e la Presidente di quest’organismo. Con l’inevitabile conseguenza che la Presidente dell’Assemblea Provinciale va revocata dal suo incarico e dichiarata decaduta dalla funzione fin qui ricoperta”.
Infine, la votazione sulla mozione di sfiducia ha dato questo risultato: 39 voti favorevoli contro 5 astenuti.
Giuseppe Di Gioia