Il nuovo petrolio: l’acqua. Lo sanno tutti, tranne i beneventani.
Facciamo due conti veloci.
Dal referendum col quale gli italiani hanno inequivocabilmente espresso la volontà che la gestione dell’acqua nel loro paese rimanesse pubblica sono passati otto anni.
Giorno più, giorno meno.
A votare furono 26 milioni.
Italiano più, italiano meno.
Il numero di politici e amministratori di ogni orientamento, partito, schieramento, corrente, movimento che hanno disatteso quanto perentoriamente espresso da un così alto numero di cittadini è difficilmente calcolabile.
Anche se con buona approssimazione molto vicino al totale.
Rappresentante pubblico più, rappresentante pubblico meno.
A Benevento, per non smentire la storica tendenza della città al conformismo più ortodosso, un recente consiglio comunale ha approvato un aumento di capitale per la Gesesa alla quale ha contestualmente prorogato l’affidamento del servizio fino al 2050 – ed ha pure affidato la progettazione del depuratore cittadino.
Sono stati i rappresentanti cittadini del M5s, con il loro voto contrario – e attraverso note alla stampa e ai media locali – a ricordare che «l’acqua non è una merce e va sottratta a logiche di mercato».
Delle stelle che l’ex movimento ha sin dall’inizio adottato sin nel nome, addirittura la prima ne rappresenta la peculiare sensibilità verso il problema dell’acqua.
Alla voce di Farese e Mollica si è poi unita anche quella di Italo Di Dio che, in aggiunta al rimbrotto per il mancato rispetto del parere di 3250 beneventani, ha tuonato contro la gentile devoluzione della attuale amministrazione a vantaggio di Gesesa e, dunque, di Acea: «Il Consiglio ha infatti approvato un aumento di capitale non dettato dalla necessità di ampliare gli investimenti in termini di manutenzione delle reti idriche o di opere di miglioramento del servizio ma finalizzato a consentire l’ingresso di non si sa quali Comuni irpini, attraverso l’acquisizione di quel pacchetto di azioni oggi mollato dal Comune di Benevento. Comuni che a loro volta, dovrebbero poi concedere l’affidamento del servizio idrico alla stessa Gesesa per consentire in tal modo, sempre alla stessa società, di proporsi come gestore unico del servizio idrico integrato. L’interesse pubblico, in tutta questa vicenda, resta sullo sfondo. Come se noi non fossimo consiglieri comunali ma azionisti di Acea».
Difficile dare torto, nel merito, al consigliere di opposizione.
Così come è difficile non tenere conto del fatto che, tra tutti i consiglieri di maggioranza, non ce ne fosse uno solo non allineato su un problema tanto complesso, controverso e ambiguo.
Quantunque, la piccata replica agli esponenti 5 stelle e Pd affidata alla penna di Giovanni Zanone, censurabile nella forma e nello stile – che rimane peraltro assai fedele a quello usualmente adoperato dal capo della segreteria politica di FI – abbia il merito di aver toccato un tema piuttosto interessante.
Forse non propriamente afferente alla persona Di Dio – che si è infatti immediatamente affrettato ad alimentare la querelle a distanza precisando di essere alla sua prima legislatura.
Di sicuro concernente il partito di cui si fregia essere esponente.
«Il consigliere Di Dio, che da censore del giorno dopo ci dà lezioni di democrazia, è veramente singolare. […]. Di Dio dimentica che, per dieci anni, il suo partito ha gestito la Gesesa in tutti i modi».
L’acqua, a Benevento, è un affare, economico e politico, da ben prima che l’attuale amministrazione prendesse possesso di palazzo Mosti.
Il Partito Democratico, che pure per collocazione politica, storia, vocazione culturale e sociale avrebbe dovuto immediatamente dare seguito a quanto perentoriamente espresso per via referendaria dagli aventi diritto ha nicchiato tutto il tempo possibile pur di lucrare vantaggi politici dalla gestione di Gesesa.
Per quel che riguarda il(ex) MoVimento, non lo si scopre con la vicenda della gestione dell’acqua a Benevento che al suo interno si sia soliti usare due pesi e due misure, a seconda della convenienza.
Va piuttosto sottolineato che – per usare termini presi in prestito dal lessico calcistico ma piuttosto attinenti al discorso – un assist tanto favoloso da mandare a rete persino il neo-Mastelliano di ferro Zanone, non lo si vedeva dai tempi dell’addio al calcio di Andrea Pirlo.
Nel solito papocchio in salsa beneventana la voce più autorevole è quella di un missionario (!), padre Alex Zanotelli.
«Trovo incredibile che i politici di questa città vadano a svendere un bene così prezioso come l’acqua. […]. Dietro i privati ci sono le multinazionali. […]. È una vergogna che i politici vadano a svenderci il bene più prezioso che abbiamo, soprattutto per zone come la vostra, dove l’acqua è la ricchezza più grande che avete».
Dice bene, il padre comboniano, nell’avvertire che «L’acqua è come il petrolio. Quest’ultimo è finito e il grande business futuro sarà l’acqua. Il dramma è che se l’acqua andrà a finire in mano ai privati, chi avrà soldi potrà comprarla; chi no, non potrà farlo».
Ed è dunque ineccepibile il consiglio che da ai sempre sonnacchiosi, noncuranti, indolenti beneventani: «Suggerirei bene di vedere chi votare e come lo si fa».
Sono loro, come sempre, gli unici a rimetterci.
È a loro che continua ad essere servita acqua al tetracloroetilene – senza che ancora nessuno tenti di assediare il palazzo (Mosti) per avere risposte celeri, adeguate, argomentate con ampiezza e rispetto
E, perché no, suffragate da dati incontrovertibili.
Certo, come ben sanno i prestigiatori di tutto il mondo, il modo migliore di nascondere un trucco è metterlo sotto i riflettori più potenti.
E, abbagliati dalle luci che Gesesa, con una mano, ha acceso e continuerà ad accendere sui monumenti della città – spacciandoli come regali –, sarà sempre più difficile vedere cosa e quanto starà prendendo (predando?) con l’altra mano.
Massimo Iazzetti
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