“Qui non si canta in napoletano”- Lettera al direttore
Caro direttore,
mi piacerebbe raccontarle una scena di ordinaria follia nel primo giorno del nuovo anno. Ebbene sì,
perché capita che in un noto locale del centro di Firenze venga proibito di cantare in lingua napoletana.
Il motivo? Si tratterebbe di una scelta del proprietario, il quale gradirebbe altri tipi di canzoni. Forse
non sa che le canzoni napoletane sono tra le più amate e ascoltate in tutto il mondo. O forse lo sa, il
che è anche peggio.
Permetta di presentarmi, sono Pasquale Abbatiello, provengo da Benevento e ho 26 anni. Prima di
sapere la sua su questa vicenda, mi piacerebbe raccontarle quanto successo.
Insieme ad un gruppo di amici, decido di trascorrere il Capodanno a Firenze. La sera del 1° gennaio
2025, dietro suggerimento, mi avventuro, per brindare al nuovo anno, in questo locale situato nel
centro storico di Firenze (T.R.G.) Una volta entrato, scopro che il posto propone il karaoke a tutti i
clienti: infatti, si alternano canzoni di tutti i tipi, dai classici italiani, alle canzoni americane, passando
per i nuovi generi musicali. Entusiasta di questa proposta, pur non essendo un professionista, ma un
semplice appassionato, mi metto in fila e, giunto il mio turno, propongo una canzone napoletana
piuttosto nota: il mio intento era, infatti, quello di far partecipare e intrattenere il folto pubblico in
sala, che si presentava piuttosto eterogeneo, con la presenza anche di americani e tedeschi. Una volta
salito sul palco del locale, inserisco il titolo della canzone sul computer per far partire il karaoke;
immediatamente, l’addetto all’evento, avendo notato dal titolo che si trattava di una canzone in lingua
napoletana, mi impedisce di continuare, avvertendomi che non si può cantare in napoletano. A quel
punto, chiedo immediatamente spiegazioni e lui risponde che si tratta di una scelta del proprietario
del locale, che consente di cantare solo in italiano, francese, inglese e tedesco, ma non anche in
napoletano. Quasi come se, in quel locale, proprio il napoletano fosse la lingua “straniera”! Infastidito
dalla risposta, sostengo che si tratta di una scelta palesemente discriminatoria, così lasciando il palco
e il locale, seguito dal mio gruppo di amici, che hanno capito nonché condiviso la mia scelta.
Insomma, come probabilmente avrà intuito, un pessimo inizio di anno nuovo, in cui l’entusiasmo e il
sano divertimento trovano un ostacolo insormontabile in vecchie e mai sopite divisioni. Certo, che
accada in locale della città che ha dato i natali al più grande Poeta di tutti i tempi, può immaginare
come faccia ancora più rabbia. Ma l’indignazione non può bastare, occorre una seria denuncia. Perché
nel 2025 non è possibile censurare un’espressione culturale così importante come la musica
napoletana. E non si dica che si tratta di una scelta commerciale, perché se è vero che i locali possono
scegliere come impostare lo svolgimento della propria attività, allo stesso tempo è vero anche che
non possono operare questo tipo di discriminazioni ingiustificate.
Con la speranza che un episodio del genere non si ripeta più e con l’augurio che il 2025 possa portare
a un cambiamento di mentalità, mi piacerebbe proporle una riflessione: la musica napoletana, con la
sua melodia unica e la sua tradizione pluricentenaria, è una parte fondamentale della nostra identità
culturale. Non può e non deve essere emarginata, né tanto meno considerata “straniera” in una nazione
che ne vanta la paternità. Il 2025 deve essere l’anno in cui abbandoniamo ogni tipo di pregiudizio e
“discriminiamo” solo l’ignoranza. Ecco perché è importante, oggi più che mai, che ci sia qualcuno
che dica basta!
Confido in una sua riflessione su quanto accaduto, nella speranza che le parole possano non solo
risvegliare la coscienza, ma anche stimolare un cambiamento.
Cordialmente,
Pasquale Abbatiello
Caro Pasquale, ciò che è capitato a te nel locale fiorentino ha fatto affiorare un vecchio mio ricordo di 63 anni fa in un locale torinese, alla periferia di Mirafiori. Era il 1961, avevo quasi la tua età (22 anni) e lavoravo in una industria meccanica. A mezzogiorno consumavo il pasto in un bar della zona (era l’unico nel circondario) frequentato da tanti giovani anestetizzati da un jukebox che cantava soprattutto in inglese. Unica canzone napoletana era “O Sole mio”, ma non riuscivo mai a metterla. Un bel giorno, però, anticipai tutti e non so quante volte riuscii a gettonarla (almeno tre o quattro volte). Non ti dico gli sguardi ostili, i chiacchiericci che sfociarono in insulti al suon di “terron”. Il gestore mi chiese di interrompere quella canzone e, al mio rifiuto, minacciò di chiamare i Carabinieri. Ben vengano – replicai – sono felice di fare loro la mia richiesta di togliere il disco dal jukebox, per il timore che possa essere sporcato “O Sole mio”. E, da quel giorno smisi di entrare in quel bar. Se ne faccia una ragione chi non conosce il proverbio “Moglie e buoi dei paesi tuoi!”