A cento anni dalla sua morte, commemorato Matteotti, il socialista che disse ai suoi assassini: “Voi uccidete me, ma l’idea che è in me non muore mai”
In occasione dell’assassinio di Matteotti, a cent’anni dalla morte, l’Anpi Benevento ha organizzato un evento presso la sala”Tanga”, della Spina Verde di Benevento, nell’ambito della Rassegna “Intersezioni, Storie, Musica e Teatro “.
La rassegna è a cura dell’Associazione Culturale TECLA, in collaborazione con l’Anpi- Comitato Provinciale di Benevento.
Lo spettacolo ha visto Maurizio Tomaciello dare la voce al protagonista, ed hanno partecipato il Prof. Amerigo Ciervo, Alda Parrella, Francesca Castaldo, Iginio Porcari e Nicola Capossela.
I momenti musicali che hanno sottolineato i vari brani, sono stati curati dai M. Pellegrino Bosco ed il M. Valerio Mola di QuBeat Lab.
Il racconto ha visto alternarsi i vari attori, che con le foto sullo sfondo ci hanno ricordato il calvario di un uomo che fu conscio del suo destino, quando ricevendo i complimenti dei suoi compagni di partito, il partito Socialista, disse: ”Io il mio discorso l’ho fatto. Ora preparate quello funebre per me”. Perché il fascismo decise di liberarsi di lui? Aveva denunciato parecchi brogli. Dopo un primo processo farsa, tenutosi a Chieti, gli assassini di Matteotti furono condannati all’ergastolo.
Quando l’Italia fu liberata dai fascisti, Sandro Pertini sulla sua tomba gridò: “Giacomo, hai visto, abbiamo mantenuto la promessa!”.
È stato ricordato dunque anche il periodo immediatamente precedente alla sua morte.
Matteotti nel 1914 era direttore dell’Avanti, il giornale del Partito Socialista, e dalle sue colonne, Matteotti aveva criticato un ex socialista, Benito Mussolini, che voleva due cose: la rivoluzione e la guerra. L’Italia, dopo la prima guerra mondiale, nella quale erano morti ben 600.000 uomini, vedeva gli agrari di Cremona, tutti i piccolo borghesi subissati da mille scartoffie e con una nazione da riportare su. Ci voleva, dunque, qualcuno capace di dare una risposta. La guerra aveva sdoganato la violenza, che era diventata lo strumento più semplice per risolvere ogni cosa. Questo progetto combatterà Matteotti. Oltre agli ideali politici, i nostri attori ci hanno fatto conoscere, anche l’aspetto personale, intimo di Matteotti, il suo rapporto con la moglie Velia Titti, che sposò nel 1912.
I due tennero un nutrito epistolario, composta da ben 650 lettere, punteggiate da citazione e parole, anche straniere. In realtà, dal Prof. Ciervo e ‘ stato sottolineato come alla fine dell’800,il socialismo vuole una partecipazione consapevole. Matteotti voleva la lotta e la vittoria sulle classi sociali avversarie, ma si prodigava, affinché il socialismo fosse dentro l’individuo, “che crescesse dentro di noi”. Matteotti era uno studioso di bilanci, aveva una visione completa dei problemi.
Il suo ideale di socialismo si concretizzò anche nel cambio del simbolo del Partito. Nel 1919 venne eletto per l’ultima volta raccogliendo consensi in tutta l’Italia. Condusse dunque un’inchiesta sulle gesta fasciste e per questo viene soprannominato “Tempesta”. Alla Camera prepara ben 106 interventi.
Il 31 gennaio 1921 accusa il governo Giolitti di connivenza con il Partito Fascista. Più tardi, il 10 marzo 1921, denuncia le violenze a cui venivano sottoposti i contadini, i fascisti si presentavano di notte nei casolari dove derubavano ed uccidevano. In verità anche i Carabinieri, di fronte alle incursioni fasciste, restavano imperturbabili. In questo modo, non ha più la protezione di nessuno e sarà consegnato all’odio Fascista. Nel 1924, incaricato di formare il nuovo governo, reso possibile anche all’introduzione di un premio di maggioranza nella legge elettorale, varata da Mussolini, il capo dei fascisti tiene un discorso durissimo alla Camera, l’ultima che sarà eletta, cercando, così, di intimidire gli avversari. Matteotti, accompagnato da Valerio Viola, afferma, dopo le elezioni, che nessun elettore si è trovato libero di scegliere, perché nei seggi era presente la milizia armata. Racconta del ferimento di Gonzales, che di certo non si era ferito da solo. Ancora raccontò che tutti
i componenti del seggio erano fascisti, mentre alcuni individui avevano votato più volte.“Domandiamo l’annullamento di queste elezioni, svolte con il premio di maggioranza“.
Matteotti sa bene che con questo suo discorso ha firmato la propria condanna a morte. Nel discorso successivo, per il quale si era già iscritto, e cioè l’11 giugno, avrebbe portato in Parlamento le prove inconfutabili per risalire a Mussolini ed ai suoi colleghi, sulla pseudo moralità dei fascisti e dei danni procurati allo stato italiano con il business dei residuati bellici, che membri del governo rivendevano. Ancora avrebbe affrontato il problema del petrolio esistente nel sottosuolo italiano, che sarebbe stato venduto agli stranieri dietro laute tangenti. L’aggressione a Matteotti riuscì alla grande e quando Gaetano Salvemini chiese a Mussolini dove si trovasse il corpo, questi gli rispose:”Gli abbiamo ridato il passaporto“, riaccese un barlume di speranza. Aveva chiesto che nessuna camicia nera si doveva presentare al funerale, ma il servizio d’ordine doveva essere affidato ai mutilati italiani.
Nel 1926 ci fu il processo farsa per insabbiare un delitto contro l’uomo e la città. A sua volta,Farinacci difensore dell’assassino, fece in modo che con deposizioni antipatriottiche, trasformasse la vittima, in un carnefice. Sotto le pressioni di chi voleva sapere come fosse morto Matteotti, si parlò di un pugno assestato al torace, particolarmente fragile di Matteotti, che avrebbe così prodotto la morte. Giacomo era stato infatti riformato, perché mingherlino, già malato. Si parlava dunque di un incidente, non di un assassinio, perché Matteotti si era dimenato per liberarsi. In veritàfu ucciso con un fendente, da parte di chi aveva subito il calcio nel basso ventre da Matteotti. La vedova revocò la costituzione di parte civile.
Il 24 maggio 1926 fu emessa la sentenza, che così fu commentata: ”Ingiustizia è fatta”.
Mussolini minacciò di chiudere il Parlamento, “un’aula sorda e grigia”, e più tardi si assunse pubblicamente la responsabilità morale, politica e storica di quell’assassinio.
“L’art. 41 dello Statuto Albertino avrebbe significato rivolgere l’accusa contro me stesso”, commentò più tardi.
Il Partito Fascista si presentava come il paciere tra due opposte fazioni: “quando due fazioni sono in lotta e manca la forza, se sarà necessaria, noi gliela daremo”.
Già qualche anno prima, nel 1921, Matteotti aveva affermato: ”Quando viene data la libertà ad un popolo non sa reggersi da sé, ma il nostro popolo si stava educando e risollevando. Con questo crediamo di rivendicare una grande verità.”. Sandro Pertini, socialista ed amico di Matteotti, chiese che gli venisse rilasciata la tessera socialista, con la data dell’uccisione di Matteotti.
A noi non resta altro che raccoglierci, per non far restare vano tanto sacrificio. La memoria si nutre della storia, ha una sua funzionalità etica. Quello che abbiamo oggi è il frutto del sacrificio di uomini e donne che hanno vissuto prima di noi e lottato per la libertà. Noi siamo nati e cresciuti in essa, pensiamo che sia stato sempre così, ma non è vero. La nostra attuale condizione è il frutto di tanti sacrifici, spesso della propria vita, come testimoniato da Matteotti.
Linda Ocone che ha curato la regia ha ringraziato tutti noi partecipanti.
“Il momento che abbiamo vissuto è stato un vero e proprio omaggio a Matteotti. Una testimonianza da parte della democrazia, un impegno civile in una società nella quale viviamo.” L’Anpi ha proposto un progetto al sindaco Mastella di intitolare a Giacomo Matteotti, la Villa Comunale di Benevento, un progetto che è stato presentato ben otto mesi fa alla Presidenza del Consiglio, ma ancora non se ne è fatto nulla. Nel suo intervento, Presidente, Piergiulio Simone, tra l” altro, ha detto:” La storia è dove vogliamo andare e soprattutto da dove veniamo E’ importante conoscere questi giganti“. Matteotti disse ai suoi assassini: “Voi uccidete me, ma l’idea che è in me non muore mai”.
Maria Varricchio