Rappresentata ”Medea” al Teatro Greco di Siracusa, storia di una donna divenuta schiava della sua gelosia e della sua magia.

 La bellissima rappresentazione di Medea di Euripide ci ha lasciati completamente senza dubbi: da vedere, imperdibile. È stato uno spettacolo capace di rapirci, coinvolgerci, emozionarci. Ci complimentiamo, come sempre, con Inda Fondazione do Siracusa, per aver messo in scena questo dramma attuale, con cori, veramente bravi, scene, costumi, musiche 

 Il lavoro teatrale, tradotto da Massimo Fusillo, si è rivelato purtroppo di un’inaudita attualità: l’uccisione dei figli da parte dei genitori, che decidono così di infliggere un grave dolore al proprio partner e di addossargli la responsabilità morale  degli omicidi, unita al rimorso, si verifica ancora oggi.

 Medea agisce sotto l’impeto della gelosia, spinta dall’ingratitudine di Giasone, per il quale ha sacrificato tutto: affetti, patria, famiglia e dal quale si vede tradita e messa da parte, perché ormai, ha deciso di ripudiarla per sposare la figlia del re Creonte, ( Roberto Latini).

 Quest’ultimo si presenta sulla scena con la testa di coccodrillo, appoggiandosi al bastone, insieme ai suoi accolti, interpretati da  Jacopo Sarotti, Alberto Carbone e Carlo alberto Denoyé, anch’essi con la testa di alligatori, voraci ed impietosi. Personificano il potere, che non vede ragione e che è pronto ad  ingoiare tutto quanto lo circonda.

 Gli errori di Medea sono dunque due: non cerca in primis il dialogo con la rivale, non si accerta se la futura sposa del marito, vorrà accettare anche i suoi figli. 

 Il secondo è quello che, ignara della bontà di Glauce (la nuova noglie di Giasone), le invia, tramite i suoi figli, due doni mortali, appositamente preparati: una corona ed un peplo intessuto d’oro, che saranno gli strumenti di morte. Infatti, una volta toccati ed indossati,  uccideranno tra atroci sofferenze Glauce e suo padre, accorso in aiuto della figlia.

 L’egoismo si manifesta dunque nella scelta di accettare l’offerta di rifugio, nella sua terra, del re Egeo, Luigi Tabita, che incontra per caso, alle condizioni di arrivare ad Atene, con propri mezzi e  di non portare con sé i propri figli.

 La donna dunque, così come aveva  già previsto,  dopo il duplice omicidio regale, dovrà, necessariamente ucciderli, per evitare che su di essi si abbatta la collera dei sudditi.

Una storia intrisa di egoismo, senso di abbandono, ricca di tante sfaccettature.

 La vicenda di Medea, raccontata dalla nutrice, prende origine dall’arrivo di Giasone, insieme agli Argonauti, nella Colchide, dove sono giunti alla ricerca del Vello d’oro, che ha poteri di guarigione.    L’impresa riesce, malgrado tutto, grazie all’aiuto di Medea, che si è innamorata di Giasone.

 Una volta preso il Vello, si poneva il problema della partenza ed allora Medea escogita uno stratagemma: uccide il fratello Apsirto e ne sparge in giro le membra, costringendo così suo padre, Eete  a raccogliere le membra del figlio, per dargli degna sepoltura. Si trova così impegnato in questo compito e non può quindi rincorrere la figlia, in fuga, con Giasone.

 A questo proposito, ricordiamo quanto fosse importante per i Greci la sepoltura dei propri defunti, per il riposo dell’anima. I fuggiaschi così possono agilmente salire sulla nave Argo e far ritorno a Jolco. Ivi giunti, però, lo zio di Giasone, Pelia, non mantiene la sua promessa e rifiuta di concedergli il trono, in cambio del Vello.

 Ancora una volta, entra in campo Medea per aiutare l’amato. Convince le figlie di Pelia a somministrare una pozione al padre, dopo averlo fatto a pezzi e bollito,  pozione che lo renderà più bello e più giovane..

 Le figlie, ingannate, provocano la morte del padre, i cui resti vengono sepolti dal figlio Acasto.

Quest’ultimo bandisce da Jolco i due amanti. Essi trovano rifugio a Corinto, dove si sposano e generano due figli.

 Sono passati  dieci anni, da quando Medea e Giasone vivono nella città, ed il re Creonte decide di dare in sposa sua figlia a Giasone,( interpretato da Alessandro Averone), il quale accetta le condizioni  imposte dal re, (l’allontanamento dalla città di Medea e dei suoi due figli), dimenticando subito, quanto aveva fatto per lui, la moglie.

 Quest’ultima non riesce però a rassegnarsi all’abbandono, all’esilio, all’affronto e medita e realizza la sua vendetta.

 Dopo l’uccisione dei figli, fugge su un carro del Sole, suo progenitore, trainato da draghi alati, verso Atena. Qui sposerà il re Egeo, (Luigi Tabita) dal quale avrà un figlio, dal nome Medo. a cui Medea vuole lasciare il trono. Anche questo suo progetto, sarà contrastato perché in realtà Egeo ha già un precedente figlio, Teseo. Questi è stato per un certo tempo lontano dalla città, e quando vi fa ritorno, sta per essere ucciso dal padre, che non lo ha riconosciuto, su consiglio di Medea.

 Accortosi in tempo, però, dell’inganno, e riconosciuto il proprio figlio, Egeo costringe Medea a fuggire di nuovo.

 La rappresentazione di Inda Fondazione è stata curata dal regista Federico Tiezzi,  che ha magistralmente diretto gli attori, i corifei, il coro e le allieve e gli allievi dell’Accademia d’arte del Dramma Antico, che hanno impersonato i seguaci di Creonte, i portatori di Medea, il coro di voci bianche e l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, rispettivamente diretti da Giuseppe Sabbatinie da Carlo Donadio..

 Il dramma si apre con il racconto delle precedenti vicissitudini e la disperazione per la salute psichica della sua padrona, manifestata dalla sua nutrice, Debora Zuin, munita di un grossa valigia, a simboleggiare il continuo vagare della sua padrona Medea, interpretata da Laura Marinoni., Sullo sfondo il pedagogo, Riccardo Livermore, tiene per mano due bellissimi bambini, i figli di Medea, interpretati da Matteo Paguni e Francesco Cutale,  di cui sentiremo le urla di dolore nel momento in cui sono uccisi dalla madre. Le loro grida saranno coperte dal bellissimo coro, diretto da Simonetta Cartia, mentre la scena, come tutte le altre curate da Marco Rossi, assistito da Francesca Sgariboldi, si  tingerà di rosso, con il disegno di luci di Gianni Pollini. Nel prologo abbiamo ascoltato invece le musiche originali di Silvia Colasanti, coadiuvata da William Caruso.

 Un lavoro eccezionale, pensiamo al bellissimo costume, dalla forma di uccello, indossato da Medea, creato, come tutti gli altri, da Giovanna Buzzi, con l’assistenza di Ambra Schumacher.

La scena finale ci presenta le serve intente a pulire il pavimento, così come avevano fatto all’inizio, ma questa seconda volta, gli stracci sono rossi, tinti dal sangue di due bambini innocenti, sacrificati dall’odio e dall’egoismo degli adulti.

Maria Varricchio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.