Città Spettacolo Teatro chiude con “L’Oreste – Quando i morti uccidono i vivi”
Così come previsto, puntuale è arrivata la performance di Claudio Casadio, che ha recitato
“L’Oreste Quando i morti uccidono i vivi” di Francesco Niccolino. Lo spettacolo è stato il primo lavoro Teatrale presentato a Benevento, dove l’attore ha interagito con dei personaggi, presenti sullo schermo, disegnati ed animati, questa volta da Andrea Bruno, con la regia di Giuseppe Marini.
I personaggi coinvolti ci hanno raccontato il punto di vista di un criminale, il quale, in maniera chiara e semplice, ci ha presentato il suo vissuto, la sua storia. Ci ha condotti per mano fino a farci capire come è potuto arrivare a compiere tragici misfatti.
Già il titolo in sé ci riporta allo storico matricidio, perpetrato anche dal nostro protagonista, non a caso di nome Oreste, a danno di sua madre e del suo amante, per amore del quale la mamma lo ha abbandonato e rinchiuso in un orfanotrofio. Di qui, il racconto di quegl’anni trascorsi in una struttura pubblica che garantiva tutto, tranne l’amore di una famiglia propria, che ormai lui non aveva più.
Si, perché quando è uscito, maggiorenne, dall’ Istituto dell’Infanzia Abbandonata, ha cercato sua madre, che a sua volta aveva ucciso il marito e, con il concorso del suo amante, di nome Libero, lo aveva nascosto nel pozzo di casa. A tutti era stato detto che era ritornato in Russia, dove era stato durante il periodo della seconda guerra mondiale.
In realtà, il protagonista, Oreste, aveva assistito di nascosto all’uccisione del padre da parte di sua madre e dell’amante, e di conseguenza, non appena divenuto maggiorenne, la sua sete di vendetta si abbatte su entrambi.
Quando vien rinchiuso in un ospedale giudiziario, per il duplice omicidio, dal quale uscirà dopo vent’anni, come accade un po’ a tutti i reclusi i quali, dopo aver scontato una lunga pena, non riconoscono neppure il mondo esterno, che hanno lasciato, in quanto se ne ritrovano un altro.
Ricadere nel crimine diventa così più facile. Le reazioni asociali non tardano ad arrivare, al punto tale che Oreste viene di nuovo rinchiuso….
In fondo ritorna in un luogo sicuro, dove ha potuto esprimere le sue doti artistiche interiori sopite, realizzando piccoli capolavori di pittura.
In tutti gli anni di ricovero, gli hanno fatto compagnia alcune figure: quella di Ernest, un compagno recluso immaginario, con il quale si interfacciava continuamente, quella di sua sorella, Marilena, che era stata sbranata dai maiali di casa sua e della cui morte la madre incolpava il marito, per non averla adeguatamente custodita e difesa dai pericoli.
Inoltre, evocava la sua fidanzata, Mariù, conosciuta nel manicomio di Lucca, della quale conversava, con il rispettivo padre, che egli immaginava in un ingegnere cosmonautico nucleare, quando a volte lo identificava addirittura con YuriGagarin, con il quale sicuramente sarebbe arrivato sulla luna.
Il dramma viene presentato con grande fluidità, lo spettatore si immedesima nel protagonista, ne capisce le difficoltà e alla fine lo giustifica.
Grazie ancora a Renato Giordano, che con questa Rassegna ci ha dato l’opportunità di seguire importanti prime nazionali e di assistere a spettacoli di grande valore artistico.
Attendiamo la prossima..
Maria Varricchio