Michele Ruggiano: ”Cuore di donna nel borgo antico”

Nota di lettura di Adriana Pedicini


Scrivere del passato è un atto religioso, non già perché si voglia riporre il passato in un’ammuffita teca, davanti a cui genuflettersi in contemplazione quando i momenti dell’esistenza si fanno tristi e bui, ma perché davvero il passato possiede una sacralità che continua ad alimentare la nostra anima, perché esso è vita, vita trasformata dal tempo, vita che va comunque avanti assumendo altri nomi, altre categorie, come oggi domani, presente e futuro. Ricomporre le proprie origini, sottoporre al vaglio della maturità e della consapevolezza ciò che un tempo lontano appariva mostruoso e abnorme o magnifico ed esaltante, ci fa guardare con occhi più limpidi ciò che un tempo guardavamo con gli occhi della nottola, non riuscendo a vedere ciò che davvero di immenso c’era.

Immenso come il cuore di una mamma, di mamma Maria. Si badi bene, non è solo un’azione di recupero di antichi affetti o di atmosfere sopite quella che Michele Ruggiano compie nella sua ultima fatica “Cuore di donna nel borgo antico”. Forse anche. Ma è soprattutto un’esplorazione tra le fondamenta di quello che è stato, allora, ed oggi è il nostro Autore. Sicuramente quel che ciascuno è stato, continua a essere, e lo sarà nel futuro, in quella parte essenziale, invisibile, irraggiungibile da altri che non sia il senso della propria identità. Certo i fatti avvengono, le trasformazioni sociali anche e le incursioni politiche nella vita modesta e tranquilla dei nostri piccoli borghi, come appunto Frassivento. E s’intrecciano con le vite, ne sono condizionamentoe stimolo, ostacolo e sprone. E l’esperienza aiuta a creare quella sorte di decalogo che sarà guida preziosa nel cammino esistenziale. Ma la verità cruciale di ogni vita è nella valenza e nella forza trainante che ciascuno dà alla propria esperienza fino a diventare capace di crearla, un’altra vita, una vita che sopravviva al male in agguato, e alle imponderabili evenienze. Perché un’altra vita è possibile.

Tutto scorre, tutto avviene, tutto segna, ma il segno indelebile è ciò di cui la forza interiore riesce a farsi origine ed effetto, fuoco sacro nato dalle macerie e dalle ceneri. Sono gli atti, i pensieri, le lacrime e il muto dolore, il sorriso segno di speranza per bambini apparentemente senza speranza. E dolcezza e tenerezza per gli sventurati figli. Mi viene in mente la regale dignità di Ecuba, nelle Troiane di Euripide, quando impotente assiste allo scempio della sua famiglia, delle giovani figlie, del caro marito e, su tutti, dell’adorato nipotino Astianatte.

Ella stessa, ridotta in schiavitù, col capo rasato, sulla scena compiange la triste sorte toccata a lei e ai suoi cari.

Altro è l’evento che ha dato origine al dramma, ma immagino Maria vestita della stessa nobilissima dignità quando si abbandona al più profondo dei dolori che mai avrebbe immaginato la colpisse nel suo percorso nuziale: perdere il compagno di vita, lo sposo, a soli cinque anni dal matrimonio, nel fiore dell’età e al culmine dei desideri e dei sogni per il futuro. E per di più con tre bimbi a cui badare.

La sua vita diventa una trenodia, i suoi giorni si sgranano come i grani di un rosario, summa di dolore e di speranza. La quale non tarderà ad animare un’anima affranta, dolente, vittima di una penosa amechanìa. Che fare? Un cuore di mamma lo sa che fare. Cibandosi del suo stesso dolore, lavando le ferite con le sue stesse lacrime, si dà da fare, Mater dolorosa, perché i figli abbiano almeno il necessario.

Pian piano la salita, benché dura, ricomincia, dando compimento ai suoi doveri di mamma. Nel cuore rimarrà sempre uno spazio vuoto, incolmabile. La vita di Maria dunque procede, l’impegno anche, di una donna che non vive al margine, ma con intuito e senso pratico guidato dall’intelligenza, da quella dote che sa leggere dentro la realtà, s’inventa i mestieri, s’impegna anche nel sociale, vede crescere i figli, assiste ai progressi scolastici dell’ultimo figlio che ha la fortuna di proseguire gli studi universitari, e gioisce con lui per l’agognata laurea.

Sullo sfondo riti e costumi del borgo, accadimenti dei più vari, narrati tutti con dovizia di particolari e con autentica partecipazione emotiva, passioni politiche e questioni sociali che animavano i maggiorenti della città non solo, ma anche il popolo; forse un po’ eccessiva la trattazione di queste ultime, ma serve a chi, nella lettura, è attratto più dalle questioni esterne. Tuttavia non scalfiscono per nulla la figura statuaria di Maria intorno a cui ruotano tanti personaggi o situazioni nuove, come quelle che riguardano il figlio studente universitario prima e poi, dopo diverse peripezie o accadimenti altri, professore che si avvia,lontano dal piccolo borgo, a percorrere la sua vita, che sappiamo ha pretese altre.

Grande, in aggiunta alla forza tetragona della protagonista, è la Fede, la fiducia nella Provvidenza che non manca di farsi presente. Una mamma, Maria, che trae la forza, senza saperlo, dalla grande Madre Terra delle religioni mediterranee, di cui è intriso il DNA di tutte le donne nate sulle sponde di questo mare ambiguo, pieno di brillanti aperture ma anche vascello di tanti drammi e soffuso sempre di melanconia. E ancora, Maria è la proiezione nel piccolo borgo della Mater Dolorosa che accompagnava il corpo di Cristo in quel fatidico venerdì santo del ’76.

Il libro di Michele Ruggiano è tutto questo, ma non solo questo. L’Autore conduce per mano tra i vicoli e i giorni, tra le vicende pubbliche e la vita privata, tra la dimensione domestica e l’attivismo politico, vi introdurrà nella vita dei figli di Maria, fatta di pasti frugali, ma di tanto amore, nella vita del paese, capace di egoismi e di slanci di generosità, nella realizzazione dei progetti e nelle proiezioni future per cui tanto si è spesa la donna.

Il libro insegnerà anche che bisogna essere più forte degli ostacoli, bisogna andare dove il cuore suggerisce, anche se le necessità quotidiane urgono, perché non è giusto vivere di rimpianti.

Difatti non manca, secondo me, il rimpianto in una storia che per il resto conforta di amore puro e bello, di profumo di casa, di sacrificio teso a grandi mete, dell’esempio derivante dalquotidiano contenere nel fondo dell’animo le lacrime, i dolori e i colpi brutali della sorte per posare sul volto dei figli un rassicurante sorriso. Avrebbe meritato questa santa donna di lenire le ferite del passato col più prezioso e appagante rimedio qual è l’abbraccio dei nipoti. Ma si sa, il rimpianto è di chi lo prova. Maria ha avuto solo amore, amore che sfida il tempo e lo spazio, quello unico che si può definire eterno, quello materno. Quello che dà a questa narrazione il valore della sacralità.

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