I giornalisti trascurano la Messa a loro dedicata

Nella ricorrenza della festività di San Francesco di Sales, patronodei giornalisti, monsignor Felice Accrocca, vescovo metropolita, ha incontrato gli operatori dell’informazione, la mattina, nell’oratorio  delle “Orsoline”, dando vita con essi ad una sorta di tavola rotonda. Con lui c’erano don Maurizio Sparandeo  e Pina Pilla, la conduttrice della emittente della Curia TS TV, che ha introdotto i lavori.

  La signora Pilla ha sottolineato l’importanza delle parole nel lavoro dei giornalisti, parole che, come diceva Papa Francesco, “possono gettare ponti tra le persone , famiglie, gruppi sociali e popoli”. “Comunicare”, ha aggiunto la dott. Pilla sempre trasmettendo il messaggio del Papa “comunista”, “significa condividere, e la condivisione richiede l’ascolto e l’accoglienza”. “Quindi, partendo dall’ascolto, quello che noi siamo chiamati a fare”, ha chiosato la collega Pilla, “quali sono le parole che noi più spesso vogliamo sentire, vorremmo ascoltare o vorremmo scrivere? Cosa manca, secondo voi, nella nostra realtà? Quale parola potrebbe essere quella che desiderate che ci sia. Questo èun input che vogliamo lanciare. Quindi, ognuno di noi, a turno, potrà dire qual è la parola che manca?”.

  Poi, don Maurizio ha detto che gli “sembra opportuno aver scelto questa formula”. Quindi, “vedo l’incontro molto proficuo sia per noi che per voi”. Precisato che la Chiesa è sempre in evoluzione, nel senso che si aggiorna rispetto ai tempi, in questo momento “sta completando la fase dell’ascolto”.  “Non vi sarà sfuggito”, ha aggiunto, “il fatto che Le parrocchie si sono messe in movimento,hanno costituito dei gruppi, coinvolgendo anche persone un po’ lontane, non semplicemente i praticanti, che purtroppo vengono a diminuire”. Il problema, a suo avviso,  è quello di coinvolgere le persone per un ritrovamento della Chiesa. “Infatti, i nostri padri”,ha proseguito don Maurizio, “dicevano che non dobbiamo aver paura del rinnovamento, anzi dobbiamo auspicarlo, altrimenti termina la funzione della Chiesa. Bisogna, insomma, annunciare in modo sempre moderno alla società, agli uomini il Vangelo di Cristo. Quindi, in questo cammino, che il Papa ha voluto  per la Chiesa Italiana, ci sono anche i giornalisti, sicché questa può essere una occasione per ascoltare. Qual è la parola che oggi manca” nell’essenza del suo significato?

    Quindi, i tempi dell’Inquisizione, condannati da Giovanni Paolo II, sono solo un triste percorso della Chiesa, anche se, diversi anni fa, il vaticanista Mensori, ha detto che gli avvenimenti vanno contestualizzati.

   A proposito dell’invito di don Maurizio di dire la parola che manca, noi subito abbiamo detto che manca la “fratellanza”. “Una parola che esiste, ma che non trova applicazione”, abbiamo precisato. In un mondo dominato dall’”homo homini lupus”, che, derivato dall’Asinara di Plauto, è stato ripreso da Hobbes, non vi può essere fratellanza. Ma questo lo diciamo in questa nota. Nell’incontro abbiamo detto che il mondo è dominato dall’odio, dalla disputa, non intesa come competizione o dibattito. Sappiamo come è vissuta la vita.  Che altro si può dire per date pienezza di contenuto a questa parola. Sappiamo come sono concepiti i nostri rapporti: odii, ipocrisie, mancanza di sincerità. Questa parola è molto presente nella chiesa, ma un laico, come chi parla, ne percepisce la mancanza nei rapporti umani. Come si fa a rendere le persone più affiatate tra di loro, che non si sfidano, che non si combattono, non soltanto con le armi, ma anche con le parole.

 Altri hanno detto che manca la condivisione, la comprensione, la compassione, il discernimento, la verità.

  Nel secondo giro, la collega Pilla ha chiesto quale nostro articolo ricordiamo come quello che ci ha dato maggiore soddisfazione.

  Pare che soltanto noi abbiamo detto di aver tratto soddisfazione da un articolo scritto, nei primi anni 70, sull’Avanti!, il quotidiano socialista al quale collaboravamo.

   Infatti, quando eravamo in quel di Matera, una sera, all’uscita di un bar mentre rincasavamo  qualcuno ci mise una mano su una spalla per fermarci. Erano un vice commissario di Polizia e un brigadiere, i quali ci chiesero un documento di riconoscimento. Ma in attesa del ritorno del brigadiere, che era andato a verificare la nostra identità,  dal vice commissario capimmo che aveva  trovato in noi la persona che cercavano, anche perché, sapremo poi, le nostre caratteristiche somatiche erano uguali a quella del lenone che aspettavano, dal momento che nel luogo dove siamo stati fermati vi era un…ambiente frequentato da escort. Quando il vice commissario venne a sapere dal brigadiere che non eravamo noi la persona che cercavano, al vice commissario dicemmo che gliel’avremmo fatta pagare.

  Due giorni dopo, sull’Avanti uscì, con molta evidenza, questo articolo: “Le strane cacce della PS di Matera”. Venimmo a sapere che quando fu pubblicato l’articolo intervennero il capo della Polizia e il Ministero degli Interni. Vi furono degli incontri tra Prefettura e Questura. qualche anno dopo, il commissario Iuliano, riammesso in servizio dopo essere stato sospeso per aver, nell’attività investigativa,  un po’ “maltrattato” le “trame nere” di  Freda e Ventura, avendo capito tutto dell’eccidio di Piazza Fontana, venne a dirigere la squadra mobile di Matera. Questo significa che quel vice commissario non aveva preso il posto del commissario capo, probabilmente andato via.

   La nostra reazione, anche se poteva fare a cazzotti con il concetto di fratellanza, aveva il fine di censurare il comportamento poco fraterno di quei poliziotti nei confronti di una persona per bene. 

    Da altri, presenti all’incontro, è stata lamentata l’assenza della cronaca bianca, quella che non richiama l’attenzione del lettore. Infine il vescovo, pubblicista anche lui, iscritto all’Ordine dell’Umbria, ha detto che la notizia, più che darla per primi, deve essere precisa, altrimenti può essere falsa, inattendibile. Questo è vero, perché noi 31 anni fa, per aver pubblicato una notizia data la sera prima da un conferenziere, senza averla verificata, ci buscammo una querela. Venimmo assolti per aver esercitato il diritto di cronaca, in quando, data anche l’autorevolezza del conferenziere, la notizia non avrebbe dovuto meritare verifica. “Questo è certamente un problema”, ad avviso del Presule, il quale ha ricordato che quando frequentava il corso di formazione per diventare pubblicista, si permise di sottolineare quanto fosse importante essere precisi, rispetto a un conduttore del corso che sosteneva l’importanza di arrivare per primi. “Secondo me, la parola che manca è la “pazienza”. Questa parola, da un lato fotografa un po’ una realtà, dall’altro, è una parola di cui  più abbiamo bisogno, perché poi la pazienza si sposa con la compassione, con la responsabilità. 

  La sera, poi, c’é stata la messa dedicata ai giornalisti, una tradizione che, purtroppo va sempre più scemando, richiama sempre meno la partecipazione degli operatori dell’informazione. La sera del 24 gennaio, ricorrenza del centenario della proclamazione di S.Francesco di Sales quale Patrono dei giornalisti, nella cappella del SS Sacramento, nel Duomo, vi erano poco più di dieci giornalisti. Se non ci fossero state altre persone sarebbe stato uno squallore. Eppure, da ben 4 decenni, i  giornalisti sanniti festeggiano S.Francesco di Sales, con una messa che ricorda anche tutti i giornalisti scomparsi.

Tuttavia, l’omelia è stata importante.

   Il Presule, pressappoco ha detto: Ad utilizzare le due armi straordinarie di S. Francesco di Sales, dolcezza e mitezza, sia nella lingua parlata che in quella scritta, seguendo così le orme da lui tracciate, quale esempio luminoso di mansuetudine ed amabilità, non si fa sensazionalismo. S. Francesco di Sales fu vescovo a Ginevra all’inizio del XVII secolo, in anni difficili, contrassegnati da accese dispute con i calvinisti. L’arcivescovo Accrocca  ha esortato i giornalisti, gli operatori dei media in generale a  farne tesoro per poi mettere in pratica, durante lo svolgimento del nostro lavoro, l’insegnamento di S.Francesco di Sales, perché,a volte, il parlare amabile apre una breccia nei cuori più induriti. In tempi difficili, segnati da contese e divisioni, Francesco di Sales testimoniò a tutti l’amore di Dio con un atteggiamento mite e dialogante,divenendo così un modello di comunicatore ancora oggi attuale. Il Presule ha continuato dicendo che si  può contribuire alla diffusione del bene, filtrando le notizie e rifiutandosi di dare quelle false, solo per determinare attenzione nei lettori ed avere qualche like in più sui social. Il segreto sta nel ricordarsi di comunicare la verità con dolcezza e mitezza, come ci ha insegnato S. Francesco di Sales.

Giuseppe Di Gioia

Giuseppe Di Gioia

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