San Menna eremita di Vitulano, testimone luminoso del comandamento dell’amore
Il Salmo 92 recita: “Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano; piantati nella casa del Signore, fioriranno negli atri del nostro Dio. Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno verdi e rigogliosi, per annunciare quanto è retto il Signore, mia roccia: in lui non c’è malvagità” (v v 13-16).
Gesù afferma: “Per questo lo scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Matteo 13,51).
Conosco il carissimo padre Domenico Tirone sin da quando ero ragazzo. Siamo nati entrambi nella fertile Valle Caudina, io a Cervinara e lui nella vicina Rotondi, paesi abbracciati dalle splendide montagne del Partenio e del Taburno, sotto lo sguardo dolcissimo della Madonna della Stella. Negli anni del liceo classico presso il Pontificio Seminario Regionale Pio XI di Benevento l’ho ritrovato in cattedra come docente di storia: intelligente, vivace, simpatico, sempre cordiale. Poi collega ed amico perché abbiamo insegnato insieme presso lo Studio Teologico Madonna delle Grazie e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Redemptor hominis.
Padre Domenico ha dedicato le migliori energie di mente e di cuore allo studio, alla ricerca e all’apostolato. Non si conta oramai il numero di pubblicazioni, articoli, conferenze, interventi, attenti alla riscoperta delle nostre radici civili e religiose. Gli anni più intensi, quelli vissuti in Vitulano come superiore dei frati minori francescani nel Convento di Sant’Antonio e parroco del paese. Tutti, nella Valle Vitulanese, lo ricordano con sconfinata gratitudine per la poliedrica attività svolta nelle diverse comunità. Qui, alcuni anni fa, la promessa agli amici vitulanesi di compiere accurate ricerche su vita, miracoli, documenti, reliquie, culto, poesia ed arte che vedono protagonista il vitulanese, eremita solitario, San Menna.
Ora adempie alla promessa con questa preziosa e puntuale pubblicazione. La Valle Vitulanese si trasforma in caldo luogo di memorie. Nello scenario incantevole del monte Pentime e del monte Drago si muove “gente dalla faccia pulita”, dalla fede semplice e viva, alimentata da sane tradizioni e ritmi religiosi confluenti vero la sacra montagna. Con la pazienza del certosino e la sapienza dello scriba, padre Tirone si muove agevolmente nel variegato e ricco patrimonio della storia sannita, registra nomi, date, fonti, platee, registri d’archivio, appunti, note, impressioni e soprattutto testimonianze e, come accade ad ogni innamorato, sa estrarre dal vasto tesoro “cose nuove e cose antiche”. Cammin facendo, le “foglie sparse d’autunno” diventano volume corposo dove le antiche memorie ed i ricordi recenti si mescolano insieme ad una scintilla d’ispirazione sincera che trasfigura l’acribia della ricerca storica in un poema stile “amarcord”.
Negli undici capitoli di questa appassionata fatica, l’esperto narratore ondeggia di sovente tra leggenda e realtà: compare papa Gregorio Magno che, intorno al 594, scrive nei suoi “Dialoghi” una breve ma intensa biografia di San Menna; il monaco Leone Marsicano di Montecassino, morto nel 1515, con la relazione sulla traslazione delle reliquie dalla cappella del monte Pentime a Caiazzo ed infine a Sant’Agata de’ Goti ad opera del conte longobardo Roberto; e poi, il monaco anonimo di Santa Maria delle Grotte con la sua “Legenda di San Menna” del 1219 ed un commovente florilegio sulla vita dell’eremita vitulanese, tanto simile a “I fioretti di San Francesco” di Ugolino da Brumforte del XIV secolo; parlano poi i documenti sul romitorio e la cappella di San Menna e sulla Valle Vitulanese del Fondo pergamene di Santa Sofia di Benevento (836-1596); la dedicazione dell’altare in onore di San Menna sul monte Pentime da parte del cardinale Orsini del 9 novembre 1707; fino alla relazione sulla ricognizione delle reliquie nel secolo XVIII e l’esame al radiocarbonio del 2011 in occasione del XIV centenario.
San Menna nasce a Vitulano nella prima metà del 500 d.C. Intorno ai venti anni di età fa suo il programma dell’apostolo Paolo: “il mondo è morto per me e io sono morto al mondo” (Galati 6,14) e imposta la sua esistenza su tre impegni nodali: rinunzia, preghiera e amore. Eremita nella solitudine del monte Pentime. Lo sguardo spazia sull’anfiteatro della Valle e, nel brivido verde argenteo degli ulivi, i suoi occhi puntano decisamente verso il cielo. Risponde così alla voce dello Sposo divino che nell’intimo del cuore lo chiama: “Vieni nel silenzio e parlerò al tuo cuore” (Osea 2,16). Comanda ai lupi e agli orsi ricacciandoli nel bosco con la sua ferula prodigiosa come il bastone di Mosè, per difendere le sue arnie dove le api depositano il dolcissimo miele. Contempla il Cristo crocifisso e risorto ed il suo personale olocausto si fa preludio all’epifania dell’amore. Mentre la barbarie dilaga sull’Europa romana e San Benedetto ricompone l’ordine sociale nel binomio indissociabile “Ora et labora”, l’umanesimo cristiano ripresenta al mondo Cristo signore della vita e l’eremita San Menna, sulla montagna di Vitulano nel Sannio, si fa segno vivo di fedeltà assoluta a Dio e agli uomini, con l’ebbrezza penitente, l’incanto trascendente e la squisita carità verso poveri e sofferenti. Menna “uomo di Dio”, come lo definisce San Gregorio Magno nei suoi “Dialoghi”, muore intorno all’anno 583.
Benevento, teatro di memorabili avvenimenti, con il ducato longobardo diviene, nel disegno della Provvidenza, cerniera straordinaria e fondamentale nel dipanarsi della storia.
Collocato nella temperie storico-religiosa del suo tempo, l’eremita San Menna, si fa luminoso testimone del primato di Dio e della carità verso il prossimo.
Ora noi, schiacciati dai condizionamenti di ideologie laiche e teorie culturali razionalistiche e materialistiche, ci siamo spinti sul precipizio della desacralizzazione del divino, con l’affermazione di un neo-Illuminismo che nelle ipotesi di una filosofia negativa e di una teologia senza Dio, disprezza ogni tradizione e irride la stessa bellezza della santità cristiana.
E, grazie a padre Domenico Tirone, il solitario e accogliente San Menna, ci riporta alle sorgenti della nostra civiltà religiosa e culturale, risvegliando in ciascuno di noi il desiderio del soprannaturale.
Mai come oggi abbiamo bisogno di fede perché il progressivo allontanamento dal “depositum fidei”, ci ha resi tristi, paurosi e disperati.
Aveva ragione l’arcivescovo di Benevento Raffaele Calabrìa, guida sicura e illuminata del mio cammino vocazionale, dagli albori fino al Sacerdozio santo e benedetto, quando, con voce potente, affermava: “Benevento è Terra di Santi, siatene fieri!”.
Prof. Mons. Pasquale Maria Mainolfi