La Procura di Benevento smaschera un nuovo caso di corruzione
Nella tarda serata di ieri, personale della Questura e del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Benevento ha eseguito cinque misure cautelari personali, disposte dal Tribunale del Riesame di Napoli, nei confronti di tre imprenditori e due professionisti in relazione ai delitti di associazione per delinquere (416 c.p.), trasferimento fraudolento di beni (512 bis), truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (640 bis), dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (3 D.Lgs. n. 74/00), indebita compensazione (10 quater D. Lgs. 74/00).
Il provvedimento restrittivo si inserisce nella articolata indagine, coordinata dai magistrati della Procura della Repubblica di Benevento, nell’ambito della quale già nel mese di luglio del 2020, veniva applicata un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del ritenuto, allo stato degli atti delle indagini preliminari, capo dell’organizzazione, nonché un decreto di sequestro preventivo di 7 società, comprensivo degli asset aziendali, di beni strumentali, di beni mobili e immobili alle stesse intestate, in relazione alle richiamate condotte delittuose, oltre ad un ulteriore decreto di sequestro preventivo, nel marzo 2021, di beni mobili, depositi di c/c, quote azionarie, nei confronti delle persone giuridiche e fisiche coinvolte nelle indagini, per il complessivo importo di euro 773.621,00. Il GIP aveva respinto, invece, la richiesta di misure cautelari personali avanzata alla fine del 2020 nei confronti di coloro che venivano ritenuti dal pubblico ministero raggiunti da gravi indizi quali partecipi dell’associazione e di un concorrente in due reati scopo, in seguito ad appello del PM, le richieste venivano accolte dal Riesame di Napoli nei confronti di sei indagati per i quali emetteva misure cautelari divenute esecutive per cinque di essi dopo il rigetto da parte della Suprema Corte di Cassazione dei ricorsi presentati dagli indagati, diversamente per il sesto che non ha proposto ricorso.
Il Tribunale del Riesame di Napoli ha riconosciuto la sussistenza della gravità indiziaria e l’attualità delle esigenze cautelari a carico degli indagati – due professionisti avellinesi, un imprenditore residente in Prato e due ritenuti prestanomi beneventani – applicando la misura degli arresti domiciliari nei confronti dei primi tre e quella dell’obbligo di presentazione alla p.g. a carico degli ultimi due in ordine ai reati di associazione a delinquere, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (640 bis), dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (3 D.Lgs. n. 74/00), indebita compensazione (10 quater D. Lgs. 74/00).
Ha altresì applicato la misura degli arresti domiciliari a carico di un imprenditore padovano, residente in Svizzera per il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (640 bis).
Le indagini hanno consentito di acquisire gravi indizi in ordine ad una operazione sistematica di intestazione fittizia di società, beni immobili e mobili posta in essere da un cittadino di Montesarchio, già condannato anche per il reato di associazione camorristica, finalizzata ad eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali. L’indagine aveva evidenziato a livello di gravità indiziaria come gli interessi di quest’ultimo si fossero spostati verso un’attività criminosa più “raffinata” e redditizia, finalizzando la gestione delle sue società all’arricchimento personale attraverso guadagni non dichiarati né tracciabili. I trasferimenti operati, ritiene l’ipotesi accusatoria avanzata nella fase delle indagini preliminari, accolta dal riesame di Napoli, lungi dal costituire il frutto di genuine operazioni societarie e commerciali, hanno rappresentato solo lo schermo dietro il quale l’indagato, ritenuto capo dell’associazione, dopo lunga detenzione e successiva sottoposizione alla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale, effettivo dominus delle aziende materialmente gestite, ha tentato di porre al riparo le sue imprese e i suoi beni, immobili e mobili, dai rischi di una possibile confisca di prevenzione, potendo a tal fine confidare sulla compiacente collaborazione prestata da diversi soggetti, appartenenti alla sua cerchia familiare, amicale o lavorativa.
Le condotte sopra descritte sono state poste in essere attraverso operazioni societarie e finanziarie, realizzate anche grazie all’apporto dei due professionisti avellinesi, afferenti la gestione di molteplici società, la maggior parte delle quali riconducibili al principale indagato ed – in concreto – non operative ma utilizzate precipuamente per finalità elusive o per la fittizia assunzione di personale. I gravi indizi del contributo dei predetti soggetti nel contesto associativo trovava conferma allorquando, in sede di esecuzione di provvedimenti cautelari nel luglio del 2020, veniva rinvenuta presso il loro studio la somma in contanti di oltre 937.000 euro.
Colpito dalla misura degli arresti domiciliari è stato altresì colui che è ritenuto uomo di fiducia del capo dell’associazione, personaggio di rilievo in seno al sodalizio criminoso, imprenditore residente in Prato ma di origine beneventana, deputato all’esecuzione delle direttive impartite dal capo nella gestione operativa e commerciale delle società a lui riconducibili, occupandosi di questioni relative ai dipendenti grazie ai sui rapporti diretti con i consulenti del lavoro.
Mentre gli altri due raggiunti da gravità indiziaria in ordine alla loro partecipazione alla compagnie associativa, in posizione subordinata, quali prestanomi asserviti al dominus, preposti all’esecuzione delle disposizioni dell’imprenditore arrestato di Prato, secondo tempi e modalità dallo stesso dettate, sono stati colpiti dalla misura più gradata dell’obbligo di presentazione alla p.g..
L’altro imprenditore destinatario di misura cautelare, residente in Svizzera ma rintracciato in provincia di Treviso, emerge nell’ambito di trattative di trasformazione in RSA e vendita di una struttura alberghiera ubicata in Apollosa e riconducibile al ritenuto capo dell’associazione, di cui si è detto, ponendosi quale intermediario tra quest’ultimo ed i potenziali acquirenti e/o soggetti interessati all’operazione di trasformazione. Lo stesso, inoltre, si ritiene che sia intervenuto per far partecipare imprese riconducibili al citato indagato in bandi di finanziamenti pubblici, aventi ad oggetto l’acquisito di macchinari innovativi, in maniera da replicare il meccanismo fraudolento di indebita percezione di contributi già utilizzato in precedenti operazioni in cui erano state coinvolte altre società sempre riconducibili al sodalizio criminale investigato. Il Tribunale del riesame ha ritenuto, oltre ai gravi indizi di colpevolezza, anche la sussistenza delle esigenze cautelari nei confronti degli indagati rilevando che sono state acquisite plurime fonti di prova “significative della concreta disponibilità del sodalizio di ingenti liquidità monetarie e di canali di occultamento e reimpiego, su cui il sequestro delle società e la nomina degli amministratori giudiziari si rilevano, sul piano cautelare, del tutto ininfluenti”.