Maurizio Donadoni racconta Matteotti
La Rassegna di Benevento Città Spettacolo si è conclusa il 30 agosto e presso l’Hortus Conclusus, è stato presentato il documentario teatrale “Matteotti”, scritto e recitato dal bravissimo Maurizio Donadoni.
Sullo schermo sono state proiettate tutte le foto relative al rapimento, all’uccisione ed ai relativi mandanti ed esecutori dell’omicidio.
Una ricostruzione storica seria e puntuale, esaustiva sia dal punto di vista politico, sia umano, per aver approfondito anche il dolore provato dalla moglie Velia Titta, che morì nel 1938, a distanza di soli quattordici anni dal marito, Giacomo Matteotti, a seguito di un mal riuscito intervento chirurgico.
Donadoni ne ha reso un ritratto completo, sia descrittivo della sua persona, del suo elegante modo di vestire, sia del suo carattere: Indomito.
Ha concluso lo spettacolo ponendosi e ponendoci una domanda: ”Che cosa avremmo fatto noi al suo posto?”.
Non è facile dare una risposta, quando si parla di martiri di una idea, di una fede, di una ideologia.
Ci vuole coerenza e coraggio, non c’è dubbio, l’istinto di sopravvivenza deve essere forzato, si deve andare oltre. Alla vita diamo un significato quando scriviamo la frase ”The end”.
Quanti di noi oggi sarebbero disposti a morire per affermare il concetto di libertà, di democrazia, di amore per il prossimo?
E’ stato dunque interessantissimo assistere a questo spettacolo, perché ha dato ad ognuno di noi la possibilità di riflettere su chi in fondo siamo, e dove andiamo.
Il pubblico, non numeroso, come invece al contrario lo spettacolo meritava, è rimasto attonito, si è commosso con l’attore per l’atroce racconto della morte di Matteotti, il politico al quale in Italia sono state intitolate il maggior numero di strade e di piazze.
La storia lo dirà, ma il suo assassinio poteva non cadere nel vuoto, se le opposizioni del tempo avessero unito le loro forze ed insieme si fossero ribellate al regime, che nel 1924 non aveva ancora tutto il consenso popolare.
Invece le divisioni di ideologie permisero che il suo sacrificio, in realtà, non portasse frutti immediati, e poi le cose andarono come ben sappiamo.
Donadoni è abituato a trattare temi storici e scottanti al tempo stesso. Pensiamo alla sua partecipazione nel film “Il caso Moro”, del 1986, nel ruolo di un brigatista, mentre nel1983 aveva recitato per la prima volta in teatro con Ottavia Piccolo, dove poi memorabili sono state le sue interpretazioni di Otello di W. Shaspekeare, Enrico IV di Pirandello, Vetri Rotti di Arthur Miller. La sua professionalità lo ha portato a recitare in tantissimi film e sceneggiati televisivi, un artista, che dopo aver studiato al conservatorio, si è cimentato in tutte le forme interpretative.
”Ogni epoca ha avuto i suoi martiri, le sue vittime, gli inutili eroi che col loro sacrificio, hanno aperto gli occhi e la strada agli altri”.
Matteotti così si era espresso, appena ventenne e lo divenne alle ore 16,30, del 10 giugno del 1924, giorno in cui fu rapito da quattro esponenti della “Ceka fascista”, un organismo che Mussolini aveva fortemente voluto, per mettere a tacere tutti i suoi oppositori. L’assassinio fu compiuto in auto ed il corpo denudato e decomposto, fu fatto ritrovare il 16 agosto.
La moglie Velia agì durante tutto quel periodo con grande compostezza e forza d’animo, ma nessuna delle sue richieste furono esaudite. Avrebbe voluto riportare il suo amato nella città d’origine, a Fratta Polesine, in un treno, come un normale viaggio, mentre invece fu trasportato con un treno speciale, quasi di nascosto, in modo tale da essere dimenticato al più presto e ,mano a mano che si allontanavano da Roma, le stazione del treno, erano sempre più vuote di persone, che lo salutavano nel suo ultimo viaggio.
Il regime aveva stravinto, era riuscito a distruggere l’Onorevole Giacomo Matteotti che aveva minuziosamente raccolto prove contro il Re stesso e Mussolini, coinvolti in un discorso di tangenti, pagati dalla compagnia americana, per evitare che il petrolio venisse estratto in Libia, diventata territorio dell’Impero italiano.
Il rapimento fu eseguito il giorno prima che Matteotti, come previsto, avrebbe parlato nuovamente in Parlamento ed avrebbe così potuto smascherare il piano di tangenti, ordito dal re e da Mussolini, dalla compagnia petrolifera Sinclair Oil.
Matteotti, che si distingueva per la sua rettitudine, in realtà non era amato neanche dai suoi compagni socialisti, perché considerato comunque un benestante.
Di qui, l’isolamento in cui venne a trovarsi Matteotti anche da morto, tanto che Mussolini, si sentì talmente sicuro di sé da dichiarare di assumersi tutta “la responsabilità politica, morale, storica”, ma non penale, del delitto Matteotti.
Il Duce aveva capito che la strada, verso la piena dittatura, era stata tratta, perché si era liberato anche di Matteotti, che il 30 maggio in Parlamento aveva avuto l’ardire di denunciare i brogli e le forzature elettorali che avevano portato il partito fascista ad ottenere il 66,35 dei consensi.
Nel suo discorso si era così espresso: ”Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza. L’elezione secondo noi è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. Per vostra stessa conferma (cioè dei parlamentari fascisti) dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà… Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse”.
Non appena terminato il discorso disse ai suoi compagni di partito: «Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me».
Il coraggio di esprimersi lo trovò nella convinzione che si può uccidere un uomo, ma non la sua idea. Ed infatti a tal proposito disse:
«Uccidete pure me, ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai».
E così è stato.
Maria Varricchio