Chi cade e chi sta in piedi nell’ora della crisi
E’ vero che la vita è fatta di processi e di ritmi vitali ma lo stile di vita eccessivamente accelerato del nostro magnifico occidente, in questi ultimi tempi, sta mostrando tutti i suoi limiti e le sue tragiche conseguenze. Tutto quello che abbiamo vissuto finora sotto il profilo sociale-culturale-economico-religioso e ha sostenuto anche il nostro modello di sviluppo e di crescita, reca il timbro inquietante e rischioso dell’accelerazione.
Anche il virus di questi giorni, nel mentre paralizza molte nostre attività, ci conduce ad un nuovo modello di sviluppo dove non conta tanto la quantità ma la qualità. La mira esasperata del guadagno cede il passo alla responsabilità.
Le inquietanti scene di morte nella più amara e agghiacciante solitudine stanno cambiando persino il volto di “sorella nostra morte corporale”. L’arte dolcissima dell’accompagnamento che ha distinto finora l’etica medica, pur assumendo risvolti straordinariamente costruttivi, sembra cedere il passo alla spietata indifferenza della spregevole “mors tua vita mea”. Per rimanere umani non possiamo ancora a lungo favorire il distanziamento senza neppure stringerci la mano e accompagnare con una premurosa presenza quanti viaggiano verso la morte. Anzi dobbiamo coltivare l’anelito di accompagnamento senza lasciare solo chi sta salpando verso l’altra riva.
ll processo di umanizzazione trova nella incondizionata dedizione di volontari, operatori sanitari e forze dell’ordine un segnale veramente incoraggiante. Queste testimonianze luminose ci offrono la possibilità di pensare concretamente che la vita vale per quanto è donata e perciò va spesa nell’accompagnamento e nella solidarietà.
La vicenda sanitaria globale che ci vede coinvolti e preoccupati ha offerto segnali forti di umanizzazione ma anche abdicazioni deludenti e inquietanti di responsabilità, persino tra evangelizzatori e operatori pastorali.
Il quadro più triste quello offerto da politici e comitato scientifico, travolti da uno smarrimento generale, con governi confusi tra linee prima proposte e poi ritirate.
La crisi globale impegna ora ogni professione a ripensare l’aspetto qualitativo del proprio statuto professionale. Torna di sorprendente attualità il tema della deontologia. E questo vale per tutti: medici, filosofi, teologi, pastori, politici e operatori della comunicazione. Soprattutto la politica si è rivelata fragile, miope, instabile, di corto respiro, prigioniera di poteri forti e potentati finanziari. L’egoismo ha soverchiato la solidarietà. L’arroganza ha messo a tacere il primato del servizio nella costruzione del bene comune. Occorrono oggi più che mai profili di politica meno fragili, meno attenti al provvisorio, liberi dal profitto e dal tornaconto personale. Quanta nostalgia per Giorgio La Pira, Aldo Moro, Almirante, Berlinguer, Fanfani e tante altre stelle di riferimento di una politica veramente attenta al sociale, al lavoro, alla scuola, alla famiglia e soprattutto alla difesa del valore supremo della libertà, anche religiosa. Le contrapposizioni politiche esacerbate e violente, poi, non procurano mai un futuro stabile. Il non permettere ai cittadini di votare per conservare artatamente la gestione del potere è una vergogna insopportabile!
Infine, la comunicazione perde la sua luminosa missione di bussola di orientamento, quando tradisce il vero e spara volontariamente un linguaggio poco rispettoso del sacro e della tragicità delle situazioni. Occorre, anzi urge, un apprendistato del linguaggio e non del tenerismo farisaico che fugge e si rintana nell’ora della prova e del sacrificio, un linguaggio che semina verità e non menzogne, speranza e non depressione. Un linguaggio sensibile e competente che non si sottomette ai poteri forti. Costi quello che costi. Anche la perdita del superficiale ed evanescente consenso sociale o ecclesiale. Dicevano bene i latini: “Sutor, ne ultra crepidam!”. Se non sei calzolaio lascia in pace le suole delle scarpe. Dunque competenza e sensibilità, per una buona professione giornalistica. Chi cerca visibilità giocando persino sul dolore e sulla morte, è meschino, bisogna aiutarlo a crescere. Se non si pone fine al distanziamento molti già psicologicamente provati impazziranno e le fasce socialmente più deboli rimarranno strangolate dalla miseria.
Mons. Pasquale Maria Mainolfi