Indagine promossa da Unifortunato: libertà religiosa al tempo del Covid-19
I fedeli hanno promosso le “messe online”, introdotte a seguito delle misure per contrastare la pandemia da Covid 19, ma hanno sentito il peso di non poter fare la Comunione. Non hanno condiviso il divieto dei funerali, ma in generale il lockdown delle celebrazioni con il popolo è stato ritenuto misura necessaria ed espressione di una giusta collaborazione tra Stato e Chiesa. Grande confusione sui provvedimenti relativi all’accesso ai luoghi di culto. Il lockdown è servito inoltre a rafforzare la fede, ma si spera di tornare presto a una familiarità diretta e comunitaria con il Signore. Sono i principali risultati emersi dall’indagine promossa dall’Università “Giustino Fortunato” in collaborazione con il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” e con il Dipartimento di Diritto canonico della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale – Sez. San Tommaso d’Aquino sul tema “Libertà religiosa e fede al tempo del Covid-19”.
All’indagine hanno preso parte oltre 4000 le persone (per un totale di oltre 7000 risposte), il suo obiettivo è stato quello di analizzare la reazione del fedele/cittadino nei confronti della ‘nuova’ esperienza di fede, vissuta durante la cd. fase 1 dell’emergenza sanitaria da Covid-19, con particolare riferimento alle restrizioni del diritto di libertà religiosa e alle celebrazioni della Chiesa cattolica trasmesse in modalità mediale.
Il Gruppo di ricerca è formato dai docenti: Paolo Palumbo, Straordinario di Diritto ecclesiastico e canonico dell’Università Giustino Fortunato di Benevento; Raffaele Santoro, Associato di Diritto ecclesiastico e canonico dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”; Antonio Foderaro, Straordinario di diritto canonicodella Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale – Sez. S. Tommaso d’Aquino di Napoli; Edoardo Scognamiglio, Straordinario di Teologia della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale – Sez. S. Tommaso d’Aquino di Napoli; Elvira Martini, Associato di Sociologia generale dell’Università Giustino Fortunato di Benevento e Salvatore Forte, Aggregato di Statistica dell’Università Giustino Fortunato di Benevento.
La grande partecipazione all’indagine, in assoluto la prima che indaga sulle questioni socio-giuridiche legate al fenomeno religioso, è anzitutto il segno inequivocabile dell’esigenza di coinvolgimento espressa dal Popolo di Dio nel dibattito pubblico e rappresenta l’opportunità per una riflessione scientifica sulle conseguenze del mutato “vivere” l’esperienza confessionale cattolica e sui rischi di condizionamento del diritto di libertà religiosa e di compromissione della sana collaborazione tra lo Stato e la Chiesa cattolica.
I 15 quesiti hanno spaziato lungo tre filoni di indagine principale: quello della relazione tra Stato e Chiesa, quello sacramentale e quello del rischio della “viralizzazione” (così l’ha definita papa Francesco) dell’esperienza di fede con il moltiplicarsi di celebrazioni e attività religione trasmesse online.
Il totale degli intervistati (4.032) è formato per circa il 70% da donne. Lo status maggiormente rappresentato è quello di “coniugato con figli” (54,44%), immediatamente seguito da “laico non coniugato” (25,89%); più del 50% degli intervistati ha un impegno pastorale diretto, rientra nella fascia d’età 51-70 anni e oltre e ha un titolo di studio che varia tra la laurea o una specializzazione post laurea. Il 70% circa dei partecipanti si dichiara cattolico assiduamente praticante.
I primi commenti sui risultati dell’indagine, in attesa di una futura e più ampia riflessione scientifica sui dati, fanno emergere un interessante spaccato in merito alla valutazione fatta sui provvedimenti che hanno limitato la partecipazione alla vita di fede. Nella maggioranza dei casi i provvedimenti sono stati avvertiti come espressione di una giusta collaborazione tra Stato e Chiesa cattolica (33,06%), una necessaria e opportuna misura che il Governo doveva adottare (25,83%) ovvero una giusta e condivisibile limitazione dei diritti confessionali perché ispirata a responsabilità personale e sociale (19,65%). Delle conseguenze dei provvedimenti adottati dal Governo quello che meno è stato condiviso dagli intervistati si riferisce alla circostanza che i defunti non abbiano ricevuto un degno commiato con un funerale (49,34%), seguito, seppur con ampio margine di differenza, dall’intervento, in alcuni casi, della forza pubblica nei luoghi di culto (11,82%).
La privazione della vita di fede maggiormente sofferta dagli intervistati è stata quella di non poter ricevere la S. Comunione (32,38%), seguita dal pensiero di non poter ricevere un degno funerale in caso di morte (29,16%) e dal non poter partecipare alla S. Messa in parrocchia (20,02%). Evidente confusione si registra in tema di accesso ai luoghi di culto – per la preghiera personale – durante la Fase 1. Se è vero che il 37,5% lo ritiene giustamente consentito, purché si assicuri la distanza non inferiore a un metro e raggiungendo il luogo di culto più vicino a casa, ben il 33,73% lo riteneva sempre vietato o consentito ma solo in occasione degli spostamenti comunque permessi, cioè quelli determinati da comprovate esigenze lavorative o da necessità (27,23%). Durante la Fase 1 il 65,20% del campione non si è mai recato in una chiesa per la preghiera personale. Di conseguenza, non potendosi partecipare alle funzioni religiose in parrocchia, il 48,24% dei partecipanti all’indagine ha dichiarato di aver seguito le funzioni religiose in TV o sui canali social o di aver incrementato la preghiera personale e familiare (31,70%). Rispetto al periodo precedente all’emergenza sanitaria in corso, la vita spirituale è molto aumentata per il 24,08% degli intervistati o poco aumentata per il 19,17% (coloro che hanno avvertito una diminuzione si attestano al 7,61%). Rispetto alla percezione del periodo emergenziale, il 53,55% del campione ritiene che in questa prova Dio abbia voluto farci riscoprire la bellezza delle cose e dei valori essenziali e che solo Dio possa salvarci in questi momenti di crisi (31,82%). Varie, poi, le risposte alla domanda: “Penso che in questo periodo la Chiesa e i sacerdoti debbano…”: per il 27,17% è stato positivo che il clero si sia dedicato ad animare i mezzi di comunicazione con funzioni religiose mentre il 12,35% avrebbe preferito una maggiore dedizione a opere di solidarietà e carità con donazioni, un impegno concreto a trovare soluzioni per riprendere le funzioni religiose in parrocchia con la presenza del popolo (14,70%) e una maggiore vicinanza ai parrocchiani chiusi in casa o ricoverati in ospedale (17,08%) o ai marginalizzati e ai poveri (15,19%). Positivo il giudizio sulla la tecnologia per favorire la partecipazione alle funzioni religiose (Abbastanza – 30,75% – Molto – 30,21% – Moltissimo – 26,22%). Viene considerato un fatto positivo che nella Fase 1 si siano moltiplicate le funzioni/attività religiose trasmesse dalla TV o sui social che comunque favoriscono la comunione tra i fedeli e il sentirsi “Chiesa” (69,35%) e solo l’11,71% ritiene che in questo modo si rischi di perdere il senso comunitario e la concretezza delle celebrazioni religiose. Tra gli strumenti utilizzati per partecipare a funzioni religiose: TV (47,28%), Facebook (26,96%) e You Tube (11,12%). Non sono mancati però alcuni “difetti” delle celebrazioni online riscontrati dai fedeli e, in particolare, un senso di disagio e distacco rispetto alla celebrazione (14,69%) e soprattutto la difficoltà a partecipare con il coinvolgimento del corpo (in piedi/seduti) (21,59%).
Infine, conclusa l’emergenza sanitaria in corso, le percezioni degli intervistati relativamente alle future modalità di partecipazione alle funzioni religiose sono le seguenti: il 74,21% si augura che tutto torni come prima ritrovandosi una familiarità diretta e comunitaria con il Signore; per il 19,35% si dovrebbero continuare a utilizzare anche i social per la trasmissione delle funzioni religiose, casomai disciplinando meglio il fenomeno delle celebrazioni in Tv e sulle piattaforme digitali (5,73%).
Questa esperienza, in conclusione, servirà a rafforzare la fede di ognuno (34,62%) così che molti, che prima non frequentavano le comunità parrocchiali, sentiranno il bisogno di partecipare alle attività e alle funzioni comunitarie della parrocchia (25,27%) ma anche a rafforzare l’alleanza tra Stato e Chiesa cattolica nel perseguimento di finalità di interesse sociale (12,35%). Individuano, invece, profili problematici coloro che ritengono che molti, pur conservando la fede, la vivranno da adesso in poi in modo personale e intimo non sentendo più il bisogno di avvicinarsi ai sacramenti o di partecipare in modo comunitario alle funzioni (14,71%). Solo per una piccolissima percentuale le soluzioni adottate nella Fase 1 porteranno a una “perdita” della fede (2,83%) rendendola di fatto solo un’esperienza “virtuale” (1,98%).