La trisomia, la stupidità, l’indifferenza. Benevento come i buchi neri

«I buchi neri sono corpi celesti il cui campo gravitazionale è così intenso che non possono emettere nulla, neppure la luce. Per questo sono neri e non possiamo osservarli direttamente».
Di astrofisica non ho molte conoscenze.
Con enorme dispiacere del professore di geografia astronomica dei tempi del liceo che ha cercato, invano, di riequilibrare la mia visione del cosmo già al tempo troppo poco scientifica.
Così la definizione di buco nero che maggiormente mi è sembrato di capire è stata quella che ho trovato sulla enciclopedia Treccani.
Quella per ragazzi.
Dai buchi neri, insomma, non esce nulla.
Hanno un campo gravitazionale così intenso che nemmeno la luce riesce ad essere percepita da chi li osserva.
Del resto – e questo non l’ho mica capito bene – non li si può nemmeno osservare direttamente. 
La cosa che più mi ha colpito però è quanto segue: «si formano [i buchi neri, ndr] dal collasso gravitazionale che talvolta accompagna la morte di una stella».
Non so bene perché, ma la cosa mi ha immediatamente fatto pensare a Benevento. 
O forse il perché lo so.
Il fatto è che mi ha davvero colpito un episodio, letto sulle pagine web della stampa locale e tratto, credo, da un post di un social network.
Un post che penso abbia molto a che fare con i buchi neri e la morte delle stelle.
L’accaduto, nel suo nonsenso pieno di senso, è semplice.
E, semplicemente è stato raccontato con le seguenti parole: «mia figlia e la cuginetta all’uscita dal pub, chiedono di visitare il Teatro Romano aperto al pubblico. Entriamo pagando i biglietti e una volta nel Teatro veniamo accolti da un energumeno che ci dice di seguire la visita guidata. Mio marito gli dice che le bambine volevano vedere due minuti il Teatro ma lui gli si avventa contro urlando».
Il seguito, chiunque abbia letto dell’episodio lo conosce.
Personalmente, non ho motivo di citare parole che, come pietre, se non hanno colpito chi, troppo giovane, non ha forse ancora l’età appropriata per comprenderne appieno il significato hanno certamente lacerato chi il loro senso è stato portato, dalla vita, a comprenderlo bene.
«Avendo al seguito mia nipote – continua il racconto – meravigliosa bimba con sindrome di down, gli chiediamo di non usare più quella parola e lui di tutta risposta si avventa nuovamente…continuando ad urlare…» le stesse parole.
Di certo, anche senza forse comprendere il senso delle parole, il volto di quell’uomo sarà apparso alle bimbe – la bambina con tre cromosomi 21 e l’altra con soli due – ben esplicativo riguardo al tipo di messaggio che intendeva veicolare.
Loro probabilmente dimenticheranno presto quel volto, quell’uomo, quella serata. 
O forse no.
Le loro famiglie ricorderanno. 
E cercheranno di rendere quelle bimbe ancora più forti di quanto non lo siano già.
Quell’episodio avrá comunque in qualche modo cambiato quelle bimbe e i loro genitori.
Chi invece non avrà altra scelta se non quella di restare esattamente ciò che già è, è quella persona.
A giorni di distanza, difatti, non sembra che qualcuno abbia fatto pubblica ammenda.
Via social o in qualunqure altro modo.
Un’indagine è apparentemente in corso per capire di chi si sia trattato.
A Benevento, come chiunque sa, finiscono nel nulla le indagini della magistratura, figurarsi quelle del direttore del Teatro Romano!
E quand’anche fosse, quello che ne verrebbe fuori sarebbe solo un capro espiatorio.
Quello che, al di là del fatto specifico, appare invece evidente é il consistente filo rosso che lega questo episodio a tanti altri, grandi e piccoli fatti che fanno di Benevento una sorta di stella morta, un buco nero da quale non esce più alcuna luce – a dispetto dei monumenti che si cerca di tenere illuminati.
Lungi dal voler banalizzare generalizzando, ma è davvero difficile non contestualizzare episodi del genere nella cornice dell’indifferenza istituzionale e sociale che ha accompagnato la chiusura del centro “É più bello insieme” – dolcissime e commoventi le parole con le quali una mamma ha cercato di sensibilizzare, attraverso una lettera, l’arcivescovo metropolita –, nella cornice di una città che si rappresenta, per bocca dei suoi amministratori, nel vanto di veder circolare in rete la foto di una Ferrari con la chiesa di Santa Sofia sullo sfondo.
Come in una sorta di buco nero nel quale l’orizzonte degli eventi é saturato pressoché totalmente da un susseguirsi ininiterrotto di “eventi” – spettacoli, manifestazioni, esibizioni, shows che ruotano intorno all’idea che il successo in termini di presenze sia successo tout-court –, tutto ció che normalmente é altrove percepito come essenziale alla vita di una comunitá, a Benevento é solo un pallido ricordo del tempo in cui la cittá ancora brillava di luce propria.
Se la colpa sia di chi ha prodotto un buco milionario nei conti della cittá, di chi ad anni di distanza continua ancor sempre ad indicarlo a ragione dei propri evidenti fallimenti o di una intera comunitá che ha ormai smarrito ogni senso che non sia quello per il mero stordirsi e ingozzarsi, non saprei dirlo.
Personalmente riesco solo a formulare a quelle bambine l’augurio di riuscire, un giorno, a trovare la forza di staccarsi da quel buco nero.
O quella di farlo nuovamente brillare di luce propria.
Magari cominciando col ridare proprio a quella persona cosí sgradevole, insensata e sgarbata una possibilitá di redimersi e una ragione per fare bene il proprio lavoro, partecipare alla crescita della propria cittá, essere fiero di sé. 
Massimo Iazzetti

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