Mastella e Del Prete cantano vittoria perché la Cassazione ha vietato il pasto portato da casa
Già non ci fidavamo più della Consulta che, dopo aver dichiarato incostituzionale il taglio delle indicizzazioni sulle pensioni operato dalla ministra Fornero, ha ritenuto improponibili i ricorsi per l’ottenimento totale dei rimborsi, rispetto alle prime sentenze di accoglimento dei ricorsi medesimi.
Ma, siccome dei 15 giudici costituzionali, 5 vengono nominati dal Presidente della Repubblica, 5 dal Parlamento e 5 dalle supreme magistrature ordinarie, può esservi il rischio, spesso contestato, che le sentenze possano contenere anche un vizio politico. Sono tutti togati, invece, i giudici che, per professionalità e meriti, arrivano alla Corte di Cassazione. Tuttavia, anche molte sentenze della Suprema Corte fanno discutere, anche se vanno rispettate, giusto un pronunciamento della stessa suprema Corte: le sentenze vanno rispettate anche se possono non essere condivise. Per dirne una, potremmo prendere ad esempio la sentenza che riconosce, in Rudy Guede, che peraltro si è proclamato innocente conversando con Franca Leosini, l’unico responsabile della uccisione, in Perugia, della studentessa inglese, Meredith Kercher.
Rispetto a questo processo, quando era già stato condannato a 16 anni con sentenza definitiva il giovane di colore, la Corte di Appello di Perugia, ribalta la sentenza di primo grado con cui erano stati condannati un’americana e un italiano. Il presidente del collegio nel giudizio di secondo grado, rispetto alle perplessità sollevate dalla stampa, avrebbe pressappoco dichiarato: c’è una verità processuale, quella che conta rispetto ad una presunta verità reale.
Ma la Cassazione, poiché il giovane di colore avrebbe ucciso in concorso con altri, restituisce il processo. La Corte di Appello di Firenze, preposta alla celebrazione di un nuovo processo, perviene ad una sentenza di condanna dei due imputati. La Cassazione, però, in quest’altra occasione, annulla la sentenza della Corte di Appello di Firenze e, quando l’americana era già rientrata negli Usa, assolve i due imputati.
Fare questa premessa era importante per esprimere il nostro disappunto rispetto al pronunciamento con cui la Cassazione, a sezioni riunite, in data 30 luglio, vieta che i bambini e gli alunni, nel tempo mensa, consumino il pasto, o il panino, portato da casa.
Dunque, poiché il diritto allo studio è costituzionalmente garantito, anzi l’istruzione è obbligatoria fino alla scuola media di primo grado, la fruizione del tempo pieno rientra, quindi, nell’esercizio di tale diritto. Però, dal momento che la mensa è un servizio che viene offerto a domanda individuale, anche perché il costo grava, a seconda delle condizioni economiche certificate dall’Isee, sul richiedente, non si capisce perché la sua fruizione debba essere obbligatoria. In questo senso, si era orientato il Tar il 13 marzo 2018, su ricorso di una cinquantina di genitori di Benevento, e successivamente, il 5 di luglio 2018 con una sentenza pubblicata il successivo 3 settembre, il Consiglio di Stato, cui si era appellato il sindaco Mastella in difesa del suo provvedimento, contro il pasto portato da casa, varato nel mese di giugno 2017.
Ora, rispetto al pronunciamento della Cassazione, egli si affanna nel dire di essere stato sempre contrario al panino libero, il che non è vero. Nel 2016, infatti, appena insediatosi come sindaco, aveva invece fatta propria la sentenza della Corte di Appello di Torino che, rendendo facoltativa la fruizione del servizio mensa, autorizzava il pasto portato da casa. Soltanto in seguito, di fronte al calo delle adesioni al servizio, appaltato di nuovo a Quadrelle 2001 e avviato, al termine di diverse peripezie giudiziarie, il 7 novembre 2016, dopo che il servizio, molto discusso, svolto dalla stessa cooperativa di Quindici (Av) nell’anno 2015-2016, era stato addirittura sospeso, nel mese di maggio 2016, prima del termine dell’anno scolastico, da Angelo Mancini, fresco di nomina a capo del settore servizio al cittadino. Lo stesso Mancini, però, sul finir del successivo mese di giugno, viene raggiunto da provvedimenti restrittivi da parte della Procura per aver letto, con il laparoscopio, all’interno delle buste, le offerte proposte da ditte in gare di appalto. Nel mese di luglio, non avendo terminato, all’atto dell’arresto, il periodo di prova alla guida di quel settore, viene licenziato.
Eppure, morale della favola, Mancini aveva chiesto l’irrogazione di un provvedimento disciplinare nei confronti di Gabriele Corona, il dipendente comunale che, nella veste di presidente di Altrabenevento, aveva fatto rilevare a Mancini il fatto di aver revocato l’appalto a Quadrelle 2001, soltanto perché, un giorno, era stato servito il pasto freddo ai bambini, senza contestare invece le molte altre inadempienze, qualcuna delle quali, riferita alla mancanza di igiene nel centro di cottura, verrà poi contestata, il 3 marzo 2017, dal sindaco Mastella, con la conseguente sospensione del servizio, nel corso di svolgimento del secondo appalto, avviato, come dicevamo, il 7 novembre 2016, raccogliendo poche centinaia di adesioni.
Di qui, l’adozione del regolamento che vieta di portare il pasto da casa, in attesa che sia bandita, il 24 luglio 2017, una nuova gara, che, espletata il 14 settembre, sarà contestata dall’Anac, poiché il Comune, avendo stipulato un protocollo con Raffaele Cantone, non gli aveva preventivamente reso noti i criteri con cui era stata bandita la gara medesima. La gara, ripetuta, con il suggello di Cantone, qualche mese dopo, viene rivinta da chi si era aggiudicata quella espletata il 14 settembre: una Ati, costituita da Ristora Food & Service di Catania e la cooperativa lavoro e solidarietà di Bari, che ha il centro di cottura in Beltiglio di Ceppaloni e che già fornisce pasti all’ospedale e a qualche altra struttura della provincia di Benevento.
Intanto, Quadrelle 2001, vinto il giudizio dinanzi al Consiglio di Stato, per aver contestato una gara quadriennale, assegnata nell’ottobre 2015 ad una società di Atripalda (gara che sarà poi annullata), chiede, all’inizio del mese di dicembre 2017, la gestione del servizio mensa per quatto anni e la revoca della gara vinta dalla suddetta Ati, gara rispetto alla quale, Quadrelle 2001, classificatasi al terzo posto, era risultata soccombente (Quadrelle 2001 si era aggiudicato il servizio mensa, per il solo anno 2015-2016, in seguito ad una successiva gara bandita dal Comune, avendo offerto un costo inferiore a 3 euro per ogni pasto). Il Comune, per non assegnare il servizio quadriennale alla cooperativa di Quindici, adduce molti elementi, compreso quello di non potersi impegnare per quattro anni nei confronti di una sola ditta avendo dichiarato il dissesto l’11 gennaio 2017. Pertanto, in attesa che sia definita la controversia con Quadrelle 2001, affida, in via provvisoria, il servizio per 3 mesi alla medesima Ati, servizio che poi, divenuto definitivo, verrà svolto anche nell’anno 2018-2019.
Le adesioni alla mensa diventano un migliaio, poiché il gestore, operando su scala nazionale, può acquistare ingenti quantitativi di prodotti alimentari di buona qualità a basso costo, cosi come avviene per le grandi società di distribuzione, cui sono associati i supermercati.
Ma questo non toglie che la mensa è un servizio a domanda individuale. Non a caso il Miur, con circolare del 3 marzo 2017, aveva invitato i dirigenti scolastici ad organizzare nel migliore dei modi la consumazione del pasto portato da casa con quello servito dalla mensa. Poiché il regolamento di Mastella faceva a cazzotti con tale circolare, quella cinquantina di genitori, evidentemente, avranno avuto un motivo in più per ricorrere al Tar.
Intanto, dal momento che la Suprema Corte non ha ritenuto configurabile l’autorefezione individuale nell’orario di mensa e nei locali scolastici, il genitore che non aderisce al servizio mensa deve prelevare il proprio figlio dalla scuola, per poi, dopo averlo fatto pranzare a casa, riportarlo di nuovo a scuola. E, se entrambi i genitori di un bambino, o di un alunno, lavorano, circostanza non rara, che succede? Questi genitori debbono rinunciare al tempo pieno, al cui svolgimento, in termini di costi, contribuiscono anch’essi attraverso la fiscalità, poiché richiede l’occupazione di più insegnanti? E, soprattutto, se i genitori di un bambino, o di un alunno, lavorano entrambi, e quindi hanno maggiore bisogno di fruire del tempo pieno, perché dovrebbero rinunciarvi, nella misura in cui non aderiscono al servizio mensa? La Suprema Corte, quando ha vietato il pasto da casa, si è posta questi interrogativi, dal momento che la non adesione ad servizio mensa, non avviene per capriccio dei genitori, o per distinzione di classe, altrimenti detti genitori sceglierebbero la scuola privata, ma per diverse esigenze nutrizionali dei loro figli, ovvero per ragioni di costo? Per le stesse ragioni, a Benevento, non pochi genitori non hanno aderito alla mensa, anche se di ottima qualità quella fornita dalla predetta Ati. Il caso della pasta e ceci, ricordato da Geppino Presta su questo giornale, non servita, meno male, dopo la scoperta della presenza di insetti, risale ad una gestione remota della mensa, attenzionata, come si ricorderà, dalla Magistratura.
Ora, la (ex) post comunista Rossella Del Prete, che non aveva condiviso il regolamento di Mastella, varato quando lei non era ancora assessora all’Istruzione (lo diventerà infatti un mese dopo), canta vittoria dal momento che la Cassazione avrebbe sancito un principio da lei sempre sbandierato, quello secondo cui “il tempo mensa fa parte del tempo scuola”. Staremo a vedere come si regoleranno i genitori che non intendono aderire alla mensa, ma che non vogliono rinunciare al tempo pieno per i loro figli, e come si regolerà il legislatore.
Su modo come si è articolata la molto controversa gestione della mensa nel corso degli ultimi 4 anni, era importante riportare tutti i relativi passaggi, documentati da fatti e date, rilevati da nostri precedenti articoli, per evitare che la memoria ci ingannasse, come è capitato nel nostro precedente “pezzo”, in cui, parlando della crisi dei rifiuti, abbiamo scritto che anche Mastella, l’anno scorso invece che due anni fa, ha contestato assieme a molti altri sindaci le tariffe della Samte, ritenute eque dal Tar.
Giuseppe Di Gioia
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