È emigrata pure Sophia. Apologetica dell’emigrazione al festival su ricchezze e opportunità del territorio
«Lavoriamo per rendere appetibile il nostro territorio ma si abbandoni l’idea che il posto di lavoro lo si trovi sotto casa».
Lo dice Mastella al festival filosofico, quarto appuntamento della quinta edizione.
In veste istituzionale.
Ma anche in veste di addetto ai lavori, essendo il primo cittadino beneventano filosofo, prima ancora che giornalista, politico e amministratore.
Difficile immaginare modo più diretto di dare plastica rappresentazione del proprio scollamento rispetto al vissuto personale, familiare e sociale della comunità amministrata.
E in primo luogo dei giovani che costituivano in parte più o meno larga l’uditorio di cotale seguace di Sophia.
Come se le statistiche non bastassero di per se stesse a dare contezza del fenomeno emigrazione, che vede ormai da lungo tempo il Sannio in veste di sempre più esangue donatore di talenti e forza lavoro sia in rapporto al nord del paese, sia in rapporto al resto d’Europa e del mondo, l’idea che con ogni probabilità la maggioranza degli astanti avesse esperienza più o meno consistente del fatto che “sotto casa” non si trovi più uno straccio di lavoro non ha evidentemente sfiorato né la testa del politico né quella del filosofo.
Se a questo si aggiunge il fatto che, con altrettanta probabilità, ogni singolo giovane astante sa benissimo che in assenza della vantaggiosa condizione di “figlio di” è virtualmente impossibile, all’ombra della Dormiente, accedere a qualunque tipo di carriera – e ormai anche a semplici lavori o mestieri – ecco che ci si rende immediatamente conto di come anche l’ultimo abitante della seconda stella a destra appena fuori dal sistema solare sarebbe più vicino ai bisogni e alle aspirazioni degli spettatori non votanti di quanto non lo sia l’onorevole.
Chi, allora, andrebbe riportato con i piedi sulla terra?
Quei giovani che, magari, nonostante tutto e contro tutto hanno ancora l’età per concedersi il risicato lusso di sognare di poter vivere la propria vita rimanendo vicino ai propri affetti e rimandando, magari a dopo la laurea, il momento di fare le valige o quel settantacinquenne uomo politico che il lavoro non ha mai nemmeno avuto bisogno di cercarlo e che, tra prebende e vitalizi, ha accumulato abbastanza sostanze da lasciarne a figli e nipoti qualora non fossero nemmeno in grado di spendere in maniera proficua sul mercato del lavoro italiano il nome di famiglia?
A chi si dovrebbe chiedere un bagno di realtà?
A quei giovani che sono la sola speranza di cavare qualcosa di buono da quello sfascio che le generazioni precedenti hanno loro consegnato o a chi per oltre quarant’anni ha rivestito un ruolo apicale in quel sistema politico che tale sfascio ha assecondato, orchestrato o ignorato – e che per maestria alchemica è pure riuscito a farsi passare nello sventurato capoluogo per il “nuovo che avanza”?
E il colmo è che a tutti quelli che vorranno o dovranno scegliere un ateneo partenopeo per arrivare al sospirato titolo accademico – che avrà poi un posto d’onore nella valigia da preparare per lasciare il Sannio e il Mezzogiorno – è toccato pure sorbirsi la solfa dell’«Ai miei tempi, per andare a Napoli impiegavo un’ora ed un quarto. Oggi siamo a due ore!».
Come se, da allora ad oggi, il campione di Ceppaloni avesse vissuto agli antipodi allevando canguri, acquisendo con ciò pure il diritto di biasimare i tempi di percorrenza della tratta ferroviaria Benevento-Napoli e non avesse invece passato talmente tanto tempo a Roma e anche a Bruxelles che è difficile immaginare chi altri avrebbe potuto fare qualcosa per avvicinare le due città quantomeno di una manciata di minuti.
Insomma, se a qualcuno dei giovani è parso che il vecchio volpone li stesse “pariando addosso”, forse non è poi andato così lontano dal vero.
A meno di non aver voler invece prendere a modello la sua storia personale.
Chapeau in tal caso al giovane che riuscirà a farsi assumere su raccomandazione, scatenando anch’egli tre giorni di proteste da parte dei colleghi indignati, a farsi eleggere, per otto legislature consecutive, spacciandosi per direttore Rai e autosegnalandosi come “bravo giovane da votare” – e via scorrendo le amenità confessate nel tempo a giornali e tv senza alcun pudore apparente.
Il Sannio avrà un emigrato in meno, un personaggio in più e certezza maggiormente solida di restare ancora a lungo ai margini della storia.
Alla professoressa D’Aronzo, organizzatrice del festival filosofico cittadino, alcune domande sembrerebbe d’uopo porre: pur comprendendo la necessità di coinvolgere a vario titolo il primo cittadino in merito a “ricchezze e opportunità del territorio”, è davvero questa la sophia con la quale la scuola beneventana vuole stregare i suoi giovani frequentatori? É davvero Clemente Mastella, con tutte le luci e le ombre della sua storia, il personaggio che si può sperare ispiri il giovane uditorio trasmettendo valori ed esperienze utili al futuro del territorio? In che modo infine il rinnovato invito ad una maggiore consapevolezza della necessità di emigrare andrebbe ad incrementare ricchezza e opportunità del territorio?
Tra la necessità che la scuola diventi “il centro della praticità” – come pure è stato detto durante il convegno – e gli inviti ad adottare ancor sempre gli Stati Uniti, dove si va a lavoro da “Boston alla California e viceversa”, quale indiscusso modello di sviluppo, il sospetto che anche Sophia sia da aggiungere al novero dei cervelli in fuga e sia sul punto di comunicare agli uffici comunali il definitivo cambio di residenza non è senza solido fondamento.
Umilmente, in veste di non più giovane emigrato all’estero, consiglio a tutti coloro che ai giovani consigliano di emigrare (e a tutti coloro che ritengono utile un tale consiglio), di emigrare a loro volta – il che non equivale a cambiare città, magari solo per qualche giorno a settimana, godendo i vantaggi della carica elettiva.
O almeno di ritirarsi a vita privata.
Massimo Iazzetti
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